Berardino Frezza, da Menzano di Preturo ai campi di internamento di Dresda: una storia da raccontare

La storia di Berardino Frezza, militare originario di Menzano di Preturo sopravvissuto alla prigionia in Germania.
L’AQUILA – Il 26 settembre avrebbe compiuto 100 anni: la storia di Berardino Frezza, militare originario di Menzano di Preturo sopravvissuto alla prigionia in Germania.
Non parlava mai di quella esperienza a cui era riuscito a sopravvivere. Giusto qualche particolare prevedibile, come la fame patita che porta a mangiare perfino le bucce di patate scartate dalle cucine o le fughe nei rifugi sotto l’ululato delle sirene antiaeree. Per il resto, quello che Berardino Frezza aveva passato come internato negli Stalag di Dresda, lo tenne per sé.
“Verräter”, traditori. Così i nazisti considerarono i militari italiani dopo l’8 settembre 1943, quando – chiusa la buia esperienza del regime fascista – il generale Eisenhower annunciò dai microfoni di Radio Algeri: “Il governo italiano si è arreso incondizionatamente a queste forze armate. Le ostilità tra le forze armate delle Nazioni Unite e quelle dell’Italia cessano all’istante. Tutti gli italiani che ci aiuteranno a cacciare il tedesco aggressore dal suolo italiano avranno l’assistenza e l’appoggio delle nazioni alleate”. Era l’annuncio dell’armistizio, firmato cinque giorni prima a Cassibile. Da quel momento, i militari italiani divennero “nemici” della Germania nazista, forse anche di più degli stessi Alleati. I nazisti, infatti, decisero di non applicare la Convenzione di Ginevra per i “prigionieri di guerra” ai militari italiani catturati. Per loro, deportazione e lavori forzati nell’industria bellica tedesca.
Tra gli internati, lo stesso Berardino Frezza, nato a Menzano di Preturo, classe 1924, che oggi avrebbe compiuto 100 anni. A 19 anni fu arruolato nella Guardia alla Frontiera, corpo militare del Regio Esercito con il compito di difendere le frontiere, e inviato a Villa del Nevoso come soldato presso il 26° Settore. Come militare “di frontiera” cadde nelle mani naziste dopo pochi giorni dall’Armistizio.
Nell’immagine che segue (utilizzata anche in copertina), la foto custodita dalla Fototeca dei Civici Musei di Storia ed Arte di Trieste che ritrae quelle difficili giornate.

Deportato tramite un treno bestiame in Germania, Berardino Frezza fu internato negli Stalag IV A (Hohnstein) e Stalag IV B (Mühlberg) nel distretto militare IV di Dresda, con la matricola di prigioniero n. 238270. Lo Stalag, abbreviazione di Stammlager, era il campo di concentramento dei sottufficiali e militari di truppa prigionieri. Fu avviato al lavoro coatto nell’industria bellica in una fabbrica di bombe vicino Dresda e sopravvisse, come gli altri I.M.I. (Internati Militari Italiani), in condizioni di vita disumane, lavorando molte ore tutti i giorni della settimana, alloggiando all’interno di baracche sulla terra battuta, dove veniva distribuito un rancio ridotto, consistente in qualche patata e una razione minima di pane e acqua. Per cercare di sopravvivere, bisognava rovistare tra l’immondizia delle cucine. E anche le bucce delle patate andavano bene.
A differenza di tanti che purtroppo conclusero la propria esistenza in quelle terribili condizioni, Berardino Frezza riuscì a resistere, fino a quel 9 aprile 1945, quando fu liberato dagli Alleati e si mise in cammino per tornare a casa. Settecento chilometri a piedi e l’ultima parte su camion e in treno.
Una volta a casa, Berardino Frezza, classe 1924, aveva poca voglia di parlare. Custodì quel dolore fino al 23 giugno 1993, quando venne a mancare. Nessuno saprà mai le sue reali sofferenze. Anche per questo, a 100 anni dalla sua nascita, è ancora più doveroso ricordare quella “storia mai raccontata”.

Quest’anno, la figlia Gianna, insieme a suo figlio Daniele, hanno posto una riproduzione della Medaglia d’Onore nel cimitero di Santi di Preturo, a riconoscimento del suo coraggio e del sacrificio durante la prigionia, come monito e ricordo per le future generazioni. In forma privata, come quei terribili ricordi che Berardino Frezza ha voluto portare con sé, forse anche per proteggere dall’orrore la sua famiglia che tanto amava e da cui era stato separato così violentemente.
Oggi è la stessa famiglia che vuole ricordarlo e il Capoluogo d’Abruzzo è onorato di esserne strumento di memoria e omaggiare Berardino Frezza, classe 1924 di Menzano di Preturo, “Combattente per la libertà d’Italia”.
