Autolesionismo, molto più che una moda tra gli adolescenti: cosa c’è dietro

30 settembre 2024 | 09:25
Share0
Autolesionismo, molto più che una moda tra gli adolescenti: cosa c’è dietro

Autolesionismo, a volte si inizia per scherzo, per sfide social tra amici: poi ferirsi diventa uno sfogo. L’esperta “L’autolesionismo negli adolescenti ci manda un messaggio chiaro: è il segnale di qualcosa che non va”

Ferirsi per richiamare l’attenzione degli altri, per chiedere aiuto, oppure per seguire delle mode. È tutto questo e molto di più la pratica dell’autolesionismo, diffuso soprattutto tra gli adolescenti. Cosa c’è dietro?

A volte si inizia a farsi del male perché tra i giovani capita che siano di tendenza giochi pericolosi. Altre volte ci si ferisce perché si vivono disagi troppo forti, che non si riescono a sfogare in modo diverso se non auto-provocandosi dolore fisico. Stiamo parlando del fenomeno dell’autolesionismo,nell’era dei social e di una società spesso “distratta” diffuso – più di quanto non sembri – tra i giovani e giovanissimi.
Ma in cosa consiste l’autolesionismo e come lo si può interpretare psicologicamente? Lo abbiamo chiesto alla psicologa e psicoterapeuta aquilana Chiara Gioia. 

L’autolesionismo è considerato la ferita dell’anima“, introduce il tema l’esperta, andando a illustrare cosa si intenda per ferita.Ogni ferita è, a suo modo, una lacerazione. Siamo abituati a pensare a una qualsiasi ferita come a una rottura del tessuto fisico, ma in realtà sono assolutamente possibili lacerazioni nella sfera psichica. Quindi, bisogna partire dal presupposto che qualsiasi ferita va immaginata come un trauma, un qualcosa che si rompe. Ciò vuol dire che la ferita è sempre e comunque indice di qualcosa, rivela una vulnerabilità.

“La ferita rappresenta simbolicamente un cambiamento. Spesso tendo a paragonarla ad un’eruzione, poiché esce fuori ciò che, attraverso l’uso della parola, non riesce ad emergere”

Per questo, questo disagio si tramuta in forme di autolesionismo,“una pratica che ci manda un messaggio. Si tratta di una sorta di narrazione disfunzionale che non utilizza la parola. È come se le persone utilizzassero questa ferita per contenere il dolore provato, poiché in balìa di un cluster di emozioni che non riescono più a sopportare”, continua l’esperta.

COME SI INIZIA
“Capita che si inizi presto, soprattutto nella fase adolescenziale. Quando i ragazzi si raccontano, nel setting terapeutico, dicono che tutto nasce quasi per scherzo, a volte perché seguono ‘l’esempio’ di qualche amico. Fin dalle prime volte, tuttavia, i ragazzi iniziano a percepire questa pratica come un qualcosa che li aiuta a sfogarsi. Qui possiamo aprire un’altra parentesi, poiché anche la stessa azione di sfogarsi dovrebbe essere analizzata a fondo. Una persona si sfoga quando è satura di un qualcosa: di pensieri, immagini, emozioni. Sensazioni soffocate che ora fuoriescono attraverso queste ferite sul corpo.
Facendo una lettura profonda dell’autolesionismo, possiamo dire che queste condotte nascono perché c’è qualcosa di intollerabile che i giovani non riescono più a sostenere: fatti che possono essere legati sia ad eventi esterni, quindi a vissuti della quotidianità, sia all’immagine del proprio sé, corporeo ma anche mentale. L’adolescenza è il momento in cui i giovani si interfacciano con la propria identità, iniziano ad acquisire consapevolezza su chi sono, come sono, sui propri pensieri e quanto le loro idee possano essere in linea con la collettività, in particolare con il loro gruppo di appartenenza”.

IL CONTESTO
“Oggi viviamo in una società per molti aspetti indifferente, in un mondo in cui si fa finta di non vedere. Quindi l‘autolesionismo è come un grido: viene utilizzato al posto della parola per dire che qualcosa non va. Si tratta di una sofferenza non narrata. Le persone che ricorrono a questa pratica chiedono aiuto attraverso quello che viene definito un marcatore somatico: non riuscendo ad esprimere la propria sofferenza psichica, decidono di utilizzare il proprio corpo. Ma perché? Perché chi ci circonda non riesce a vedere? Perché chi è intorno a noi si mostra indifferente?
Il comportamento autolesivo – conclude Chiara Gioia – rappresenta la ricerca di sé stessi e la necessità di sentirsi riconosciuti”.