Giorgia Meloni, due anni di Governo

Per la rubrica Camere con vista, l’analisi di Giuseppe Sanzotta sui due anni di governo di Giorgia Meloni.
Per la rubrica Camere con vista, l’analisi di Giuseppe Sanzotta sui due anni di governo di Giorgia Meloni.
Quando due anni fa le elezioni decretarono la vittoria del centrodestra non destò particolari sorprese il successo di Fratelli d’Italia e di Giorgia Meloni. Quella che, fino a qualche anno prima, era la terza forza della coalizione, era diventata la prima con distacco. Non ci fu sorpresa, perché i sondaggi avevano previsto tutto o quasi, forse erano stati più generosi con Salvini, la cui discesa dai fasti dell’estate del 2019 (quella del Papeete) è stata costante e inarrestabile. Confermata in quel 25 settembre di due anni fa. Anche Berlusconi aveva perso smalto, ma non il desiderio di pesare ancora nella coalizione che lui aveva voluto in anni lontani. E quel foglio con gli apprezzamenti non proprio amichevoli verso la Meloni lasciati in bella mostra in favore di telecamere lasciavano intendere che, risultati a parte, Berlusconi voleva pesare. Ricordi lontani. Come lontana e poco significativa appare oggi oggi quella frase di Giorgia Meloni che, salendo in auto, visibilmente irritata esclamò: “Non sono ricattabile”. Frase misteriosa che suscitò diverse interpretazioni.
Il successo di Giorgia Meloni non sorprese, ma tutte le incognite erano legate alla sua collocazione internazionale. Soprattutto i legami con l’Europa, i rapporti con gli Usa tornati protagonisti militarmente per la guerra in Ucraina. Meloni come altri leader della destra europea avevano visto con simpatia Putin, talvolta considerato come un custode dei valori occidentali. Per dirla in altre parole, lo tenevano in grande considerazione. Berlusconi mantenne pubblicamente un buon rapporto anche quando era evidente la collocazione italiana nel conflitto. Tornando a Giorgia Meloni, le incognite erano tante. La stampa internazionale avrebbe subito collocato Fratelli d’Italia tra le forze con radici fasciste. E poi c’era lo spirito europeista di cui non aveva dato sempre prova. Forza Italia sembrava volersi assumere il compito di rassicurare a livello internazionale. Del resto la scelta di Tajani, ex presidente del Parlamento europeo, come responsabile degli Esteri doveva essere la garanzia. Diciamo che di queste protezioni Giorgia Meloni non ha avuto bisogno, ricercando subito un rapporto stretto con Ursula von der Leyen. Rapporto che ha resistito anche al voto contro la scelta della presidenza della Commissione. Meloni appena nominata alla guida del governo ha avuto subito il battesimo del fuoco a livello internazionale negli appuntamenti già fissati. L’esame è stato superato e soprattutto lo sforzo riuscito è stato quello di rassicurare che in Italia non c’era stata e non ci sarebbe stata alcuna rivoluzione. Su Atlantismo ed europeismo non ci sarebbe stato alcun cambiamento. Una cosa che a destra non è piaciuto a tutti. A volte, in questi due anni, la Lega ha cercato di scavalcare a destra Fratelli d’Italia, ma si è trattato di punzecchiature. Nelle cose fondamentali la maggioranza è rimasta unita. Eppure degli incidenti in questi due anni ci sono stati: gli attacchi alla Santanchè che potrebbe andare a processo; la vicenda Liguria con le dimissioni di Toti; la vicenda Sangiuliano. Poi ci sono state le inchieste di Fanpage sui giovani di Fratelli d’Italia e su alcune frasi razziste o nostalgiche. Imbarazzo certamente, qualche dimissione. Ma nessuna crisi. Tutto questo anche grazie a una debolezza della sinistra che non ha saputo costituire una vera alternativa. Anche nelle elezioni locali non ha saputo competere dove c’era una classe dirigente di destra collaudata. È stato così nella regione Abruzzo con la conferma di Marsilio, è stato così a l’Aquila con il sindaco Biondi non solo confermato al primo turno con un risultato che ha pochi precedenti, ma che si è confermato anche come uno dei protagonisti della nuova classe dirigente di Fratelli d’Italia.
Tornando alla presidente del Consiglio, parliamo di due anni difficili, perché l’Italia si porta dietro un debito pubblico di quasi 3 mila miliardi, perché ogni anno si spendono 100 miliardi di interessi. Come quando si spende per scuola e formazione. Non si potevano fare miracoli. Eppure ci sono stati successi, perfino inaspettati, su sviluppo e occupazione. Restano però irrisolte le questioni delle basse retribuzioni e non si riesce a frenare la fuga dei giovani più preparati verso altri paesi. E le conseguenze di tutto questo le vediamo nella sanità, dove c’è difficoltà nell’assunzione di giovani medici. Quello della sanità è il problema più serio che il governo si trova ad affrontare. È vero che la questione viene da lontano, dai tagli operati in passato, ma sicuramente non basta varare un provvedimento per affermare che sono state abolite le liste d’attesa. Quell’affermazione è simile a quella dei 5Selle quando all’approvazione del reddito di cittadinanza annunciarono: “Abbiamo abolito la povertà”. Povertà, come le liste d’attesa, non si eliminano per legge, ma attraverso investimenti. Inoltre che impatto avrà l’autonomia differenziata sulle regioni più povere?
Dopo due anni di governo è evidente che i problemi principali del Paese siano ancora in attesa di soluzione. Questa maggioranza, se non accadranno cataclismi politici, ha però la possibilità di governare per una intera legislatura, avviando così un processo di trasformazione. Potremmo mettere su Palazzo Chigi il cartello: Lavori in corso. Il giudizio rimandato a fine corsa.
