Infermiere assolto per paziente morta in terapia intensiva, parla l’avvocato: “Una vicenda travisata dall’inizio”

“Il mio assistito ha seguito tutti i protocolli. La paziente è morta per una porta rotta, non per negligenza di un professionista serio”. L’intervista all’avvocato Alessandro Scelli, difensore dell’infermiere assolto dall’accusa di aver cagionato la morte di una paziente ricoverata in terapia intensiva durante l’emergenza Covid.
“Siamo felici per l’esito di una vicenda che era partita male dall’inizio. Il mio assistito aveva agito seguendo tutti i protocolli e si era arrivati a lui con un’ipotesi di accusa molto grave, ma soprattutto travisata”. A parlare, sentito dal Capoluogo.it, è l’avvocato Alessandro Scelli, del foro di Sulmona, legale dell’infermiere Pietro Ciamacco, assolto dopo un lungo processo che lo vedeva accusato di una colpa molto grave per un sanitario: aver causato – per negligenza – il decesso di una donna ricoverata per Covid in terapia intensiva al G8 dell’Aquila, durante l’emergenza sanitaria.
Nel novembre 2020 Ciamacco lavorava all’ospedale San Salvatore dove era arrivato su base volontaria, rispondendo alla chiamata che il professore Franco Marinangeli aveva fatto al personale sanitario presente in regione, in un momento storico in cui c’era penuria di infermieri nel reparto che in quel momento si trovava in estrema difficoltà, quasi in “trincea”: la terapia intensiva. L’infermiere specializzato e in forze presso l’ospedale di Sulmona, era arrivato a L’Aquila per aiutare e dare una mano, ben sapendo i rischi a cui andava incontro, in un momento in cui il virus aveva la sua massima diffusione e medici e infermieri erano sicuramente i più esposti. Era finito sotto processo con l’accusa di aver cagionato, per presunta imperizia, la morte di una donna, ricoverata nel reparto del professor Marinangeli, i cui familiari in questo processo erano difesi dall’avvocato Carlotta Ludovici, del foro dell’Aquila. “Il fatto non sussiste” così il giudice Tommaso Pistone si è espresso nella sentenza pronunciata ieri: anche la Procura aveva chiesto l’assoluzione per l’accusato.
Un’assoluzione che cancella una macchia, soprattutto perchè durante il processo tanti testimoni si erano espressi a favore dell’operato del giovane. L’accusa sosteneva che l’infermiere “avrebbe agito con negligenza perchè non doveva abbandonare un paziente, ma assisterlo obbligatoriamente e ininterrottamente nelle manovre di nursing”. Un dettaglio, sottolinea ancora l’avvocato, “Che non è scritto in nessuna linea guida anzi viene richiesto l’opposto. La prima cosa da fare è chiamare aiuto; se si è in due uno resta e l’altro esce. Non si può agire da soli e la porta, come ricordato diverse volte, andava chiusa nel rispetto della normativa”.
Una sentenza accolta con sollievo dal giovane infermiere e dal suo legale che durante tutte le fasi del processo aveva respinto ogni accusa, ribadendo come fossero stati applicati alla lettera tutti i protocolli del caso. La donna era morta perchè la porta della stanza era rotta e quando i medici hanno provato ad entrare per soccorrerla non c’è stato nulla da fare tanto che venne chiamato un tecnico per aprirla, ma quando si riuscì a forzarla, ormai era troppo tardi. Uno dei medici presenti si levò anche la tuta protettiva per cercare di forzarla, ma fu tutto inutile.
L’infermiere si era accorto che la situazione si era aggravata ed era corso a chiamare aiuto, chiudendo la porta alle sue spalle, come richiesto dal protocollo. “Non avrebbe potuto fare nulla di diverso – chiarisce ancora il legale – in quella stanza non c’erano telefonio pulsanti di allarme. Il personale era protetto dalle tute che erano molto ingombranti e non solo limitavano i movimenti, ma ovattavano anche la voce. È uscito fuori, ha chiesto aiuto ai medici, ma la porta non si è riaperta“. L’avvocato ha sottolineato inoltre che durante le udienze, “è emerso come quel reparto non fosse per sua natura adibito alla terapia intensiva, ma allestito durante l’emergenza Covid proprio per ottemperare al momento di difficoltà. Nelle stanze dove si trovavano i pazienti non c’erano possibilità di comunicare o dare l’allarme con l’esterno se non uscendo”.

E sulla professionalità dell’infermiere, durante il processo, si è espresso anche il professore Marinangeli che ha ricordato come avesse seguito tutte le linee guida. “Il professore ha lodato l’operato del mio assistito, dichiarando che in quella circostanza non avrebbe potuto fare altro. Nel reparto non era prevista la presenza fissa di un operatore in stanza, che interveniva solo al bisogno. È stato ricordato inoltre come avesse dimostrato grande professionalità rispondendo alla chiamata di aiuto della Asl, in un momento così difficile e delicato come quello dell’emergenza sanitaria”, conclude il legale.