“Via Crispomonti numero sessantuno”, nella nuova silloge di Mario Narducci un canto d’amore e un inno alla vita

“Via Crispomonti numero sessantuno” è l’ultimo lavoro del giornalista e scrittore Mario Narducci. Un inno all’amore nei confronti della sua Mariolina, di Francesco, di Maria Giovanna, dell’indimenticabile Marialaura.
Mario Narducci non ha bisogno di presentazioni: saggista, scrittore, poeta e giornalista vaticanista aquilano, decano dell’Ordine, descrive da oltre mezzo secolo, in prosa e poesia, ricordi, affetti, immagini della sua città, ma non solo. Le sue poesie soprattutto, da sempre, sono un inno all’amore, duraturo, infinito, in tutte le sue forme e con i tutti i dolori conseguenti, come nel caso della silloge “Via Crispomonti numero sessantuno”.
In via “Via Crispomonti numero sessantuno”, ultima silloge di Mario Narducci, con prefazione di Massimo Pamio, ed edita da Mondo Nuovo,”Mariolò” (per le persone che lo amano e lo stimano), ha racchiuso un universo d’amore incondizionato per i suoi affetti, per la mai dimenticata Mariolina, compagna di una vita intera, consorte leale e sincera, madre dei suoi 3 gioielli, Francesco Maria, Marialaura, Maria Giovanna. Il titolo del libro richiama a una via dell’Aquila, la strada della sua casa d’infanzia, dove tutto è cominciato. Passato, presente, speranza per il futuro, nella silloge i versi si susseguono spontanei.“La macchina tecnologicamente più efficiente che l’uomo abbia mai inventato è il libro“, assicurava il critico letterario Northrop Frye e Mario questa macchina l’ha sempre tenuta accesa, ha sempre sentito forte il bisogno di scrivere, un motore scoppiettante con cui “sfogare” una necessità che non si è fermata nemmeno durante il lockdown.
Anzi durante quel periodo di ‘esilio’ forzato, ha riavvolto il nastro dei pensieri e dei ricordi “dell’Aquila de ‘na ote” e li ha fatti diventare un libro, “Racconti in quarantena”, dove gli aquilani di buona memoria hanno ritrovato‘ le due nanette’, due donne molto pie e devote conosciute nel tessuto cittadino, che facevano la spola tutti i giorni dalla Villa Comunale alla chiesa delle Anime Sante, per seguire la messa, vestite in modo austero, di marrone, con una cordicella in vita da terziarie francescane. O personaggi come Riziero, Bettina e Libero, ai quali ha cercato di fare una specie di fotografia, affinché anche le nuove generazioni possano conoscere e capire che una città è fatta principalmente dal suo tessuto sociale urbano, dalla vita che brulica, dalla gente, incrociata anche solo di passaggio.

Nella nuova silloge invece Mario ha lasciato che la penna mettesse nero su bianco le emozioni, la tristezza, ma anche la sua infinita speranza, sorretta da una fede cristiana incrollabile. “Le ultime poesie di Mario Narducci sono un canto d’amore ininterrotto verso Mariolina, la ragazza divenuta sua moglie, madre dei suoi figli; verso la natura con i suoi colori e le sue particolarità; verso una comunità, quella dell’Aquila o della sua infanzia, ma in definitiva quella da sempre del poeta, che lui sente vicina perché lui è vicino agli altri, ai suoi simili, alle persone. Amore verso la vita con tutti i suoi gradini – a salire e a scendere, nelle gioie e nei dolori – consapevole l’uomo-poeta di un disegno che appartiene all’uomo appartenendo a Dio”, scrive la poetessa e politica italiana Maria Lenti, nella sua lunga e toccante recensione.
Un libro dove si parla anche di perdite affettive, che hanno segnato gli ultimi anni di Mario. “Il tuo amore / è un meleto / ritto sulla collina /… Il tuo amore è un ciliegio / carico da spezzare i rami… / Il tuo amore è una vigna / pronta per la vendemmia… / Il tuo amore è un fico settembrino…”, ma la distanza è prossimità, “perché nel suo cuore non manca nessuno, perché il suo cuore ha ancora un flusso vitale, il succo di ciò che tra sé e le persone ha dato vigore al corpo e all’anima”, scrive ancora la Lenti.
“Mario Narducci procede, nelle poesie, estraendo da sé il succo e calandolo in versi chiari, limpidi, enunciativi ed evocativi insieme, nei quali il tempo e lo spazio si legano tra universalità e dimensione personale. Procede per metafore, per metonimie, per anafore immettendo in esse il sentimento come irrinunciabile, il sentimento del sé profondo connesso con la profondità dei compartecipi alla vicenda della vita. Il sole non è più quello della sua giovinezza e della pienezza vissuta, la notte invade o ha invaso la luce del giorno, l’assenza della donna amata ha raccorciato le attese e ha diluito in righe di sperdimento il proprio vivere. Ma è il sentire in sé la presenza e la certezza di un ritrovarsi a restituire il sole. Così è e così sarà per una fede di cui Mario Narducci ha tenuto saldo il filo dalla nascita”.
Versi da cui traspare anche un grande dolore, anzi, “a volte esplode, a volte è accettato, altre fa male fino a morirne: resta nella sua iperbole umana, non evitabile, necessario, come necessario è guardare il Gran Sasso o la Maiella, godere dell’autunno, tornare a quel pugno di castagne che, dono prezioso, riempiva di gioia i giorni ‘piccoli’. Come necessario è rammentare la partenza dal nido famigliare per aprire, giovane, la propria strada”.
Il lutto per la scomparsa di Mariolina e Marialaura non hanno però intaccato il piacere di scrivere, anzi, sottolinea la Lenti, “Il nero, però, non offusca la sua scrittura che tende, ogni volta e in ogni libro, a volgere in possibilità umana l’improbabilità di cambiamenti socio-politici e di miserie dure da narrare. Le nuvole nere compaiono alla vista delle nuvole buone, le quali ‘Hanno il colore della panna montata / Che l’alba ha frullata / Sul filo della notte finita /E stanno addensate / Come su un cono gelato /… Le nuvole buone / Come un dolce soffione / Di zucchero filato / Hanno il respiro di un fiato / Di neonato / Ma lungo come la vita / che parte dalla culla / E tocca lontano / Dell’eterno la mano. /…”.
In ogni caso Mario non ha perso l’ottimismo, una felicità primordiale, “ereditata alla nascita, meraviglia che permane, intatta e che permea la sua vita scossa certamente dalle ‘nuvole nere’ esistenziali accompagnate dalle nuvole buone: sarà il fine, o la fine, a dare ad esse il senso di un oltre nell’esistenza di ognuno”.
A Mariolina
nel ricordo sempre vivo
di un amore immenso
ai miei figli, frutto copioso
di questo amore
e all’amore da loro rinnovato
a Federico, Riccardo, Sofia
Nicolò e Laila
figli dei miei figli
perchè guardino sempre il mondo
con gli occhi del nonno
uomo di Fede
libero e solidale.
-Mario-