Dalla violenza al riscatto, la storia di Maria: L’Aquila mi ha regalato pace e libertà

23 novembre 2024 | 09:29
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Dalla violenza al riscatto, la storia di Maria: L’Aquila mi ha regalato pace e libertà

A Grandangolo la storia di una donna prigioniera tra le pareti domestiche che all’Aquila, grazie al centro anti violenza che l’ha supportata, ha trovato la forza di ripartire e lasciarsi alle spalle le violenze e le botte subite.

A Grandangolo una storia di riscatto dalla violenza di un marito che mascherava le botte con l’amore. Una donna che trova la forza di uscire dall’incubo della persecuzione di un marito geloso e violento, e che all’Aquila trova la libertà: “Mia figlia mi ha dato la forza per scappare e combattere la paura”.

La rubrica di approfondimento del Capoluogo “Grandangolo”, condotta dal direttore David Filieri, ha intervistato una donna albanese, in incognito per ragioni di sicurezza, a cui è stato assegnato il nome di fantasia di Maria. In vista della giornata internazionale contro la violenza sulle donne, il 25 novembre, Grandangolo ha scelto una storia che in qualche modo riassume ed evoca i soprusi e le sofferenze che troppe donne in tutto il mondo devono subire ancora oggi.
Maria ha detto a Grandangolo: “La mia vita qui all’Aquila è completamente diversa da prima, è cambiato tutto. Finalmente ho scoperto la libertà di pensare e di dire quello che voglio senza avere paura.

Un grande aiuto è venuto dal centro antiviolenza che mi ha trovato una casa, pagato l’affitto, aiutato a riorganizzare la mia vita e sostenuta per un anno. Ho trovato un lavoro come operaia stagionale, mio fratello mi ha aiutata venendo dall’Albania per stare accanto a mia figlia per i primi mesi. L’Aquila mi ha regalato serenità, pace e libertà, oggi sono libera di dire quello che penso, faccio quello che voglio fare senza avere paura. Sono felice della mia vita oggi. Spero che tutte le donne trovino la forza per sentirsi come mi sento io oggi”.

Oggi Maria è un’imprenditrice e si sente realizzata. Ma il suo passato è stato drammatico e segnato da violenza. Si è sposata nel suo Paese, l’Albania, appena diciottenne, nel 2010. Nel 2014 è venuta con suo marito e con la loro figlia di due anni in Italia, in una città che non viene rivelata sempre per motivi di sicurezza. “Abbiamo deciso di venire in Italia per avere una vita migliore e crescere meglio nostra figlia, per cercare un posto di lavoro che ci consentisse una vita dignitosa”.

Per lei cambia poco, la vita da reclusa che inizia a condurre in Italia è del tutto simile a quella precedente in Albania: “Lui era geloso, non voleva nemmeno che uscissi da casa. Lui era aggressivo e beveva. Ogni giorno la violenza diventata più forte e la rabbia lo accecava. Oggi capisco che quella era una vita da prigioniera, che è durata per tutti i dodici anni che sono stata con lui. Il mio sogno era di iscrivermi all’università, ma lui non me l’ha lasciato fare. I miei genitori hanno capito che c’era qualcosa che non andava, specialmente mia madre. Ma mi vergognavo di ammettere di avere sbagliato, di aver scelto un uomo sbagliato per me, sentivo che tutti erano contro di me”.

L’aggressività del marito di Maria in Italia divampa: “Speravo che cambiasse ma beveva, le cose non facevano altro che peggiorare. Nel 2019 la situazione era molto brutta, c’era nella nostra città anche sua sorella che era dalla mia parte: è stata lei per la prima volta a chiamare i carabinieri dopo che lui, ubriaco, in una circostanza era stato particolarmente aggressivo”.

Botte e urla. Scatta la prima denuncia ma poi Maria compie quello che oggi definisce “il più grande errore della mia vita”, torna con il marito, c’è un’altra brutta aggressione.

Da quel giorno lui ha iniziato a bere tutto il giorno e ad avere esplosioni di rabbia e violenza sempre più grandi.
Un giorno lui è tornato a casa con un’ascia per uccidere Maria, l’ha presa per i capelli, l’ha trascinata per tutta casa ed ha iniziato a picchiarla. La figlia di Maria ha chiamato i carabinieri e la vicina, che ha soccorso Maria e l’ha aiutata a scappare attraverso il balcone del secondo piano. Le tre donne terrorizzate davanti alla furia dell’uomo scavalcano la ringhiera e fuggono dal palazzo accanto. Maria conosceva una persona all’Aquila e pensa di rifugiarsi lì. All’aeroporto Maria non riesce nemmeno a parlare e piange soltanto, è proprio la bambina che, parlando bene italiano le  fa forza, chiede aiuto agli altri passeggeri per trovare il volo e la porta all’Aquila. Qui Maria si rivolge al centro anti violenza e rinasce.

Racconta: “Sono venuta all’Aquila con mia figlia senza niente. Sono andata a casa di un conoscente, sono stata da loro per circa un mese. Ho cercato subito un centro antiviolenza. Parlavo molto poco italiano, la prima volta ho raccontato la mia storia grazie a mia figlia che era con me. Mia figlia mi ha dato tutta la forza, mi ha sempre detto che non era da sola”. A L’Aquila Maria ha preso la patente, ha iniziato a lavorare ed è diventata libera. Oggi ha una storia d’amore con un aquilano, ha una bella famiglia allargata che proprio lei tiene unita e solida. È diventata imprenditrice e si è scoperta una nuova persona.

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