Sulle tavole abruzzesi a Natale vince la tradizione

Nonostante la continua evoluzione della cucina, a Natale in Abruzzo, soprattutto nell’Aquilano, il baccalà fritto, il timballo della nonna, agnello e fettuccine continuano a mettere tutti d’accordo.
Non è Natale sulle tavole abruzzesi se non c’è almeno un timballo della nonna lungo 2 metri e alto 3. Nelle case più tradizionali non può mancare anche il brodo con la stracciatella per il pranzo del 25 e gli spaghetti con le alici per la cena di magro della Vigilia. Sono ricette semplici, dal sapore unico, antico, preparate in molti casi con pochi ingredienti, provenienti dal territorio, alcuni anche economici che rimandano alla memoria ricordi dolci, legati alle nonne che oggi non ci sono più.
La tradizione a tavola a Natale, soprattutto in Abruzzo, e in particolare nell’interno Aquilano, è ancora molto viva: che si trascorrano le feste in casa o al ristorante, tanti scelgono di proporre a ospiti e commensali piatti veraci, seppur rivisitati o alleggeriti. Nell’epoca del digitale, degli hashtag come #healthyfood o #veganstyle, a Natale si riavvolge il nastro e si rispolverano le ricette che hanno tramandato le nonne su foglietti ormai ingialliti dal tempo dove non c’era spazio per le quantità perchè si usava questo o quello ‘a piacere’ o ‘a sentimento’ e iniziavano i preparativi per il cenone della Vigilia e il pranzo di Natale da giorni e in cucina era tutto un affettare, sminuzzare tra profumi buoni e pentole che ‘pippiavano’ lentamente.
I palati e i gusti di tutti sono cambiati nel tempo, per non parlare del sempre presente #sushinomonamour, ma per la Vigilia e per il pranzo di Natale nel capoluogo d’Abruzzo anche per le foto “instagrammabili” vince l’intramontabile #timballodellanonna, le fettuccine ammassate con 10 uova e le carrellate di fritti che #colesteroloscansate. Che sia la cena della Vigilia o il pranzo di Natale a L’Aquila, in tanti seguono ancora la tradizione, con le ricette di una volta, quelle che vedevano le nonne in cucina fin dalle prime ore del mattino, con quegli odori e quei sughi che profumano d’amore e di cose fatte perbene. In città tra i tanti custodi di questa tradizione culinaria c’è il giornalista Demetrio Moretti, responsabile della delegazione dell’Aquila dell’Accademia italiana della cucina, che ha raccontato al Capoluogo.it, non senza nostalgia e commozione ciò che si mangia a Natale da queste parti, seguendo antiche ricette, tramandate su foglietti un po’ consunti oppure mandate a memoria, con gli ingredienti “a occhio” e “quanto basta”. Un racconto emozionale che anche quest’anno abbiamo deciso di riproporre ai nostri lettori.

“La nostra tradizione non contempla molte ricette per le feste di Natale, ma si tratta dei piatti che normalmente venivano consumati nei giorni di festa – spiega Moretti – semplici e che affondano la loro storia nel mondo rurale aquilano”.
Negli anni certo qualcosa è cambiato,“Abbiamo aggiunto per esempio il pesce, un po’ per stare al passo con le tendenze, un po’ per variare quella che era una volta la cena di magro della Vigilia”. Il 24 sera infatti, fino a qualche decennio a tavola c’era la cena di magro, in cui si mangiavano baccalà accompagnato da minestre o brodo. “Ricordo ancora il sapore genuino dei legumi, del tepore del camino, delle castagne… Nelle famiglie più benestanti, chi poteva, aggiungeva pezzetti di guanciale per dare più sapidità. Poi c’erano gli spaghetti, con le alici, condite semplicemente”. Erano cibi semplici ma che, a quanto pare, mettevano tutti d’accordo, “C’era tanta allegria condita dalla voglia di stare insieme. Dopo la minestra e gli spaghetti si passava alla portata principale che era sempre l’anguilla o il baccalà, fritto in pastella, arrosto, al sugo o al forno con le patate”.
“L’anguilla – spiega ancora Moretti – era una vera e propria leccornia che non tutti potevano permettersi, veniva cotta con la brace del camino, dopo una sapiente marinatura e si acquistava esclusivamente per l’occasione”. E l’anguilla, o il capitone, oggi è ancora un piatto di nicchia, non di facilissima reperibilità e soprattutto, in questo periodo dell’anno arriva a costi non accessibili a tutti.
Ciò che si aspettavano e che aspettano ancora tutti è il trionfo di fritti che ovviamente non possono mancare: si va dalle classiche verdure in pastella come il cavolo o la verza e anche la mela spolverata di zucchero, passando per i calamari, il baccalà, la moderna tempura di gamberi. I contorni, ora come allora, sono sempre quelli: cavoli e cavolfiori, la rapa rossa, i broccoli che lasciano comunque uno spazietto ai dolci. “Il fiore all’occhiello aquilano: il torrone aquilano, i caciunitti presi in prestito dal Teramano e dalla costa, la frutta secca, le noci, pandoro e panettone”.
Potrebbe bastare tutto questo per fare poi un digiuno di 24 ore, invece no perchè il giorno dopo si scaldano i motori per il pranzo del 25. Cavallo vincente non si cambia, ancora una volta vince la tradizione e quindi, secondo gli studi di Demetrio Moretti, “non può mancare l’antipasto classico fatto di formaggi e salumi, tutto molto semplice ma gustoso. In alcune famiglia si prepara ancora il brodo con il cardo, oppure con la stracciatella, l’indivia e il pane fritto, come la zuppa della sposa del Parco Nazionale d’Abruzzo. C’è chi invece ha preso in prestito le ‘scrippelle’ dal Teramano ma, in ogni caso, devono esserci le fettuccine o la lasagna e poi l’agnello, magari cacio e ova, anche se è un piatto più primaverile, o al forno, oppure panato e fritto”.

Si conclude questo tour culinario dedicato al Natale pescando sempre dal baule dei ricordi di Demetrio Moretti:“il 25 nelle tavole delle famiglie ricche si chiudeva il pranzo con la pizza dolce, un pan di spagna sofficissimo, bagnato con alchermes e farcito con la crema al cioccolato. Una tradizione oggi quasi scomparsa e sostituita dai tanti panettoni e pandori artigianali molti dei quali prodotti in Abruzzo. Un pezzetto di torrone, un mandarino, una noce, l’amore e il caffè… Poi si gioca tutti insieme, allo stesso tavolo!”.
