Brain rot, l’effetto dei social sul cervello: l’esercito degli apatici

Qual è la parola dell’anno? Secondo l’Oxford English Dictionary è “Brain rot”, cervello marcio. ED è Tutta colpa dell’uso eccessivo dei social. L’esperta: “Stare troppo con il telefono porta a difficoltà nell’attenzione e a stanchezza mentale”
La parola dell’anno appena trascorso, secondo l’Oxford English Dictionary è “Brain rot”, cioè cervello marcio. Ed è tutta colpa dei social, o meglio del loro eccessivo utilizzo.
SOCIAL – Il neologismo Brain rot si riferisce al “presunto deterioramento dello stato mentale o intellettuale di una persona, visto soprattutto come risultato di un consumo eccessivo di materiale, in particolarecontenuti online, considerati banali o poco impegnativi“. Un altro campanello d’allarme che arriva quindi dai social e che accende la luce sull’impatto che i contenuti dei social network possono avere sulla nostra salute mentale.
Una premessa è d’obbligo. I social non vanno demonizzati. Tuttavia, di fronte ad un loro uso illimitato, dinanzi a giornate scandite dagli scroll sulle homepage Facebook, Instagram e Tik Tok – frequentati anche in quelle poche pause in cui si tenta di staccare la testa dal lavoro – a che effetti si può andare incontro? Lo abbiamo chiesto alla psicologa e psicoterapeuta aquilana, Chiara Gioia. “Da un punto di vista psicologico, parliamo di atrofia del cervello. Precisiamo che né in medicina né in psicologia si parla attualmente di ‘cervello marcio’, anzi: non c’è ancora una terminologia specifica e formale che fa riferimento a questo effetto indicato dal neologismo inglese. Tuttavia, in contesti colloquiali o medico-colloquiali si inizia a parlare di uno stato mentale associato inizialmente ad un temporaneo decadimento delle capacità cognitive, causato proprio da un uso eccessivo dei social“.
CERVELLO SOVRASTIMOLATO
In quanti fanno un lavoro da ufficio, quindi passano le ore davanti al computer e trascorrono poi i momenti di pausa e il tempo libero sui social, continuando ad usare pc o smartphone?“Computer e smartphone espongono la mente ad una miriade di stimoli ed informazioni che arrecano un affaticamento al cervello: noi, però, non riusciamo a rendercene conto subito. La nostra mente si ritrova a filtrare tantissime informazioni, molte più di quelle che arriverebbero se prendessimo un giornale e leggessimo le notizie del giorno”.
Perché si parla di deterioramento cognitivo? “Perché l’utilizzo dei social è quotidiano e ripetitivo rispetto a un’intera giornata, portando, di conseguenza, a riscontrare difficoltà di concentrazione. La velocità e il dinamismo dei social network porta a scorrere senza soffermarsi molto su un singolo contenuto multimediale. Se ci si ritrova davanti un articolo, quanti leggono e quanti si limitano a guardare la foto e leggere a malapena il titolo di quell’articolo? Se invece lo si leggesse per intero, si avrebbe sicuramente un impegno cognitivo maggiore e ci si andrebbe a concentrare su quello specifico contenuto. Tutto ciò colpisce la vivacità intellettuale. È come se la nostra fantasia non avesse l’input per potersi attivare”.
“Nei casi in cui i bambini utilizzano in modo costante un tablet si va a ‘colpire’ la fantasia del bambino”.
Il mondo virtuale è fonte di stimoli, ma “non c’è un sano uso dei social – continua Chiara Gioia – Il problema è alla radice, perché se noi vediamo un video sul web difficilmente arriviamo alla sua conclusione e riflettiamo sul suo significato, esprimendo un eventuale giudizio su quel contenuto. Alla partenza di quel video, anzi, tendiamo a farci già un’idea superficiale, per poi passare al video successivo. Quindi, accade che il nostro cervello sia costantemente sottoposto a stimoli provenienti dalla multimedialità del digitale, ma si tratta di input brevi che generano a mano a mano crescente difficoltà a mantenere viva l’attenzione su attività più lunghe e più complesse. Inoltre, questi contenuti digitali vanno a sovraccaricare il sistema dopaminergico, portando alla ricerca continua di stimoli rapidi e veloci, che vanno gradualmente a sostituire la messa in atto di attività gratificanti: quali ad esempio la lettura, lo studio o la stessa socializzazione“.
Oggi quante persone leggono un libro? E tra loro, quanti giovani?
RISCHIO APATIA
Parlando in ambito psicologico e anche medico, a cosa si può andare incontro?
“Questo utilizzo disfunzionale del web può anche determinare problematiche per la memoria a breve termine. Perché, passando rapidamente da una notizia all’altra, si possono dimenticare velocemente alcuni fatti rilevanti. Quel meccanismo automatico di apprendere una notizia dopo l’altra, infatti, porta ad avere difficoltà a concentrarsi su notizie di maggiore spessore. È così che ci sfuggono le cose, lette o anche riferite da qualcuno.Tutto ciò, poi, può portare a insoddisfazione e apatia: perché, anche se le persone non se ne rendono conto, iniziano a fare queste attività in modo ripetitivo. Vanno a vedere la loro bacheca social. Cosa è stato pubblicato, da chi?… Ed ecco nascere una stanchezza mentale che genera, a sua volta,scarse motivazioni“.
LE RELAZIONI SOCIALI E LA QUOTIDIANITÀ “DISTURBATA”
“Questo meccanismo si combina direttamente alla mancanza di interazioni sociali significative. Se una persona nell’arco di una giornata passa molto tempo sui social a leggere superficialmente notizie, vedere brevi pubblicità, sponsorizzazioni e così via, viene a mancare anche la curiosità di prendersi cura di sé per impegnarsi a coltivare nuove relazioni sociali“.
Tra gli effetti che si riscontrano in terapia, inoltre, ci sono le influenze che questo uso dei social porta sul ritmo circadiano, quindi sulla salute fisica nell’arco delle giornate. “Molte persone la sera, a letto, scorrono le home dei social. Questa prassi in una coppia crea distanza e poi va a disturbare il sonno, perché il cervello risulta ‘bombardato’. Di conseguenza, il ciclo sonno-veglia subisce un affaticamento cronico che può produrre, a sua volta, un’irritabilità della persona, in virtù di un riposo insufficiente o disturbato. Dormire male incide sul benessere psicofisico e socio-relazionale, con conseguente possibile aumento di rischi metabolici, cardiovascolari o di obesità”.