Don Paolo Piccoli, la Cassazione conferma la condanna

La Corte di Cassazione, confermando la sentenza di Venezia, ha condannato don Paolo Piccoli a 21 anni e 6 mesi di reclusione per l’omicidio di don Giuseppe Rocco.
La Corte di Cassazione ha condannato don Paolo Piccoli a 21 anni e 6 mesi di reclusione.
Il processo bis si era chiuso a marzo scorso a Venezia, cui si è arrivati dopo la sentenza della Cassazione che nel marzo 2023 aveva annullato la condanna a 21 anni e 6 mesi pronunciata a Trieste dalla Corte d’Assise e confermata dalla Corte d’Assise d’appello. Il motivo principale dell’annullamento era la mancata ammissione dei consulenti di parte. “È stato un processo molto difficile – è il commento a caldo dell’avvocato Vincenzo Calderoni, del foro dell’Aquila che difendeva don Piccoli insieme al collega Roberto Borzone (durante il processo Trieste c’era anche l’avvocato Stefano Cesco del foro di Pordenone ndr) – sono stati anni impegnativi e abbiamo fatto il possibile. Resta l’amaro in bocca, siamo stati due volte in Cassazione sperando in un esito diverso per un uomo che si è sempre professato innocente. I fatti sono stati scandagliati sotto ogni aspetto, in un processo durato quasi 10 anni”.
La consulenza autoptica che aveva riscontrato la rottura dell’osso del collo e gli accertamenti del Ris sulle tracce di sangue trovate sul letto di don Giuseppe Rocco, la vittima, non sarebbero stati ammissibili. Don Piccoli non era stato avvisato quando erano stati disposti perché ancora non iscritto nel registro degli indagati.

Sacerdote veneto, incardinato nell’aquilano dove ha prestato servizio presso le parrocchie di Pizzoli e Rocca di Cambio, don Piccoli – che si è sempre proclamato innocente – per l’accusa ha causato la morte dell’anziano don Giuseppe Rocco, monsignore triestino all’epoca 92enne, rinvenuto senza vita il 25 aprile 2014 all’interno della Casa del Clero di Trieste dove entrambi i presuli abitavano. All’inizio, dopo il ritrovamento del corpo senza vita del monsignore, si pensò a una morte naturale, data anche l’età avanzata.
L’accusa di omicidio arrivò diverse settimane dopo, a seguito dell’autopsia. A fare il ritrovamento, l’assistente di don Rocco, Eleonora Laura Di Bitonto che tentò di rianimare l’anziano, come registrato anche dalla telefonata fatta al 118. Sempre la perpetua, sia prima che durante le fasi del processo, fu l’unica grande accusatrice di don Piccoli, sola destinataria, tra l’altro, della cospicua eredità di don Rocco, (consistente anche in alcune unità immobiliari) che – stando a quanto riferito dalla stessa – avrebbe poi diviso con i nipoti del monsignore. A don Piccoli venne contestato di aver ucciso don Rocco per impossessarsi di alcuni monili che il sacerdote aveva nella stanza e soprattutto della collanina che l’anziano prelato indossava sempre; una tesi più volte smentita dalla difesa durante tutte le fasi di dibattimento. La collanina – come accertato di nessun valore commerciale – di fatto non è mai stata trovata, nonostante le diverse perquisizioni nella stanza dell’imputato, “se non al collo della perpetua”, come ribadito più volte dalla difesa.
“Il Signore ha dato, il Signore ha tolto, sia benedetto il nome del Signore. Lui ha scelto per me, questa è la mia croce, la porterò è continuerò il mio cammino di purificazione”. Parole accorate ma piene di fede verso il “suo” Signore quelle pronunciate ai microfoni del Capoluogo da monsignor Piccoli all’indomani della condanna a 21 anni e mezzo di reclusione.
Il processo ha avuto un forte clamore mediatico: del caso se ne è occupata la trasmissione di Federica Sciarelli “Chi l’ha visto” e sia a Trieste che a Venezia sono presenti in aula le telecamere della trasmissione “Un giorno in pretura” che ha mandato in onda durante la scorsa stagione una puntata dedicata, (a questo link la puntata integrale).