Covid 19 cinque anni dopo, Franco Marinangeli: un reparto al collasso, le vittime, la solidarietà

31 gennaio 2025 | 08:01
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Covid 19 cinque anni dopo, Franco Marinangeli: un reparto al collasso, le vittime, la solidarietà

Covid 19: sono passati 5 anni, basta un attimo per tornare ai ricordi di quei mesi in emergenza. Il professore Franco Marinangeli riavvolge il nastro. “Quanto accaduto sia di monito per il sistema sanitario. Il vaccino la svolta. Grazie alla cordata di generosità siamo riusciti a raddoppiare i posti letto”.

Ancora oggi, 5 anni dopo, basta un attimo per tornare a quell’atmosfera da ‘trincea’, quando tutti abbiamo dovuto fare i conti con il Covid 19, un nemico sconosciuto e subdolo, fino ad allora ritenuto lontano. “Abbiamo lavorato incessantemente, sfido chiunque a fare meglio di quanto è stato fatto”. Sono parole commosse, velate di tristezza, ricordi che non andranno mai via. A riavvolgere il nastro è il professore Franco Marinangeli, primario del reparto di Terapia intensiva dell’Ospedale San Salvatore dell’Aquila.

Abbiamo ripercorso questi 5 lunghi e difficilissimi anni dall’inizio della pandemia nell’intervista accorata, ma piena di speranza, al professore Franco Marinangeli, Direttore UOC di Anestesia e Rianimazione dell’ospedale San Salvatore, il reparto che più di tutti ha dovuto affrontare e fronteggiare la fase acuta dell’emergenza, in affanno, all’inizio con una grande carenza di dispositivi di protezione. Un lustro fa, il 31 gennaio 2020 il primo caso sospetto a L’Aquila, mentre l’incubo è iniziato intorno al 21 febbraio. A fine mese il reparto di Terapia intensiva dell’ospedale del capoluogo di regione era già al collasso. “Codogno chiude per Coronavirus”. In tv e sui media si comincia a parlare di Covid 19, di paziente “zero”: l’orrore era appena all’inizio. In un lampo sarebbero arrivati i Dpcm del governo Conte, il lockdown, #iorestoacasa ‘andrà tutto bene’, i disegni con gli arcobaleni, le zone rosse e gialle, le terapie intensive al collasso. E ancora, la sfilata delle bare di Bergamo, i concerti sui tetti, lo smartworking, la solidarietà internazionale, i supermercati presi d’assalto, la corsa alle mascherine, i drive through per i tamponi, l’impegno della Difesa, i voli sanitari…E poi i vaccini, un’altra corsa e una flebile luce in fondo al tunnel. “Scuole, edifici pubblici e locali chiusi, divieto di ingresso anche in ospedale. Codogno chiude per Coronavirus dopo un’ordinanza del sindaco in seguito ai sei casi accertati in zona, i primi in Lombardia”. L’orologio riparte da qui, da quel pomeriggio di 5 anni fa: “La Cina è vicina” e il Coronavirus SarsCov2- Covid 19 è entrato nelle vite di tutti. In poco tempo l’Italia sarebbe diventata l’epicentro europeo di una pandemia che, nella forma e nella sostanza, conta circa 26 milioni di contagi e 190mila morti. L’Aquila e provincia non sono state immuni: sono stati mesi difficili, caratterizzati da due ondate severe, con gli ospedali al collasso. 250 i ricoveri in pochi mesi nel reparto di Franco Marinangeli, circa la metà i decessi da marzo a dicembre 2020.“Il Covid – spiega il professore Marinangeli – per noi sanitari è stato uno ‘stress test’ che ci ha permesso di mettere a fuoco i punti di forza e le molte debolezze del nostro sistema sanitario“. 

Il primo problema che l’ospedale dell’Aquila ha dovuto affrontare – come nel resto del Paese – è stato quello di reperire materiale e dispositivi di sicurezza per medici e paramedici, isolare i contagi, adattare la struttura alle esigenze del momento, lavorando in affanno, con tempestività e con il terrore di contrarre il virus. “Il ricordo delle prime notizie – ricorda ancora Marinangeli – ha ancora il sapore amaro del bollettino di guerra, ma nessuno ci credeva ancora, non avendo idea di cosa potesse essere. Il primo caso con cui ci siamo confrontati era ‘importato’ e veniva proprio da Codogno dove non avevano più posti letto”. A quel punto il professore Marinangeli con la sua équipe capì che dovevano ‘creare’ nel più breve tempo possibile un reparto isolato dove curare i casi più gravi.“La nostra fortuna furono i padiglioni del G8 che pochi anni prima ci avevano consentito di ricominciare dopo la distruzione del sisma del 6 aprile. In un mese, grazie a un lavoro di squadra imponente, realizzammo una struttura efficiente, con impianti moderni e aria compressa in tutta la struttura”.

In quelle settimane mancava tutto, ed era difficile reperirlo: per tutto si intendono i dispositivi, le tute, le mascherine, i guanti monouso che avrebbero protetto i sanitari dal proliferare di un virus sempre più ‘cattivo’ e aggressivo, i reagenti per processare i tamponi. “Dopo 14 ore di lavoro incessante, non sapevi se avevi i guanti e la mascherina nuovi; tornavo a casa dove mi ero isolato dal resto della mia famiglia senza sapere cosa sarebbe successo il giorno dopo. Per sopperire alle mancanze ci siamo inventati qualunque cosa: dalle visiere in uso ai giardinieri del Comune dell’Aquila forniti dall’amministrazione, alle tute donate dalle imprese di costruzioni che ancora operavano nei cantieri della ricostruzione“. 

nuovi posti terapia intensiva San Salvatore

L’eredità preziosa dell’emergenza sanitaria nei ricordi del professore Franco Marinangeli è stata proprio la cordata di solidarietà cittadina e provinciale: chiunque, dalle istituzioni ai semplici cittadini ha fatto sentire il proprio abbraccio fatto di donazioni spontanee, in denaro o attrezzature, generi di conforto per medici e infermieri. Se oggi abbiamo un reparto con il doppio dei posti letto, perfettamente inglobato nella struttura, lo dobbiamo proprio all’emergenza sanitaria che ci ha lasciato un insegnamento unico quanto importante: praticare la rete di solidarietà. La nostra terapia intensiva ‘a prova di Covid’ è stata realizzata con un costo di circa 1 milione e mezzo di euro di cui 700 mila provenienti da fondi privati perchè avevamo un finanziamento statale insufficiente per costruire e raddoppiare i posti letto. Mi feci promotore di una petizione popolare che ha portato a donazioni da 4 enti principali e 400 donatori cittadini, tra cui associazioni ed enti come L’Aquila per la vita, Fondazione Carispaq, i costruttori, l’associazione Vado che mise a disposizione anche un conto corrente per veicolare il denaro”. 

Covid 19, la curva risale: con tre dosi meno rischi

Adesso, 5 anni dopo Franco Marinangeli è convinto che sia ancora i tempo di capire, Se quanto accaduto sia servito al nostro sistema sanitario nazionale. Sono certo che abbiamo fatto la cosa migliore e scelte ponderate, tra cui quella del vaccino”.  Il vaccino, tasto ‘dolente’ del post emergenza: se ne è parlato, si sono aperte due correnti, tra pro e ‘no vax’. C’è stata la corsa, la mancanza di dosi per tutti, i dubbi tra prima, seconda e terza dose, i pro green pass e i contrari. Per Marinangeli è stato, La svolta a prescindere dalle polemiche. Sicuramente gli effetti collaterali ci sono stati, ma senza sarebbe stato un disastro ancora più grave. 18 milioni di morti nel mondo pesano ancora tanto, decessi che hanno coinvolto anche tanti colleghi che non hanno esitato a esporsi al contagio per salvare vite umane, tra turni massacranti e isolamento. La nostra équipe è stata eroica, il gruppo del G8 comprendeva sia la terapia intensiva che la sub-intensiva. Eravamo in 100, tra cui tanti arrivati per dare una mano su base volontaria. Uomini e donne incredibili a cui va la mia infinita riconoscenza, professionisti eccellenti che hanno fatto onore agli anni di studio e al Giuramento di Ippocrate:ancora oggi non posso che dirvi solo GRAZIE!”. 

Franco marinangeli