Fuochi Sant’Antonio, Alfedena candida le celebrazioni a patrimonio Unesco

1 febbraio 2025 | 10:11
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Fuochi Sant’Antonio, Alfedena candida le celebrazioni a patrimonio Unesco

Alfedena candida la sua festa dei Fuochi di Sant’Antonio a patrimonio immateriale dell’umanità. Tramandare le tradizioni per non disperdere l’identità.

Salvaguardare e valorizzare anche per le future generazioni le celebrazioni dei Fuochi di Sant’Antonio. Alfedena candida la sua festa, che quest’anno ha avuto numeri da record, a patrimonio immateriale Unesco. Dal fuoco, o farchie, a seconda del posto, al cibo che porta a riscoprire antichi piatti della tradizione rurale contadina, si passa poi alla musica, agli stornelli legati al culto che nella loro unicità rappresentano sicuramente una parte significativa del patrimonio culturale immateriale non solo dell’Abruzzo interno Aquilano, ma del mondo intero.

Fuochi di Sant’Antonio, non si tratta di una iniziativa isolata, ma prende esempio da quanto fatto a Collelongo, dove le celebrazioni si rinnovano da circa 4 secoli. Onorare e celebrare Sant’Antonio è qualcosa di insito nelle radici del popolo abruzzese, soprattutto nell’interno, rappresenta la storia e la devozione di un popolo. Nel 2021 si è svolta la prima Giornata Nazionale della Rete Italiana per la Salvaguardia e Valorizzazione delle Feste di Sant’Antonio Abate dove per l’Abruzzo erano presenti le comunità di Collelongo e Fara Filiorum Petri che sono state tra le fondatrici della Rete nata come un laboratorio che opera per la salvaguardia e la valorizzazione sostenibile del patrimonio culturale immateriale, la promozione dei diritti culturali, la protezione e promozione della diversità delle espressioni culturali, portando a conoscenza delle comunità i principi della Convenzione UNESCO del 2003 e della Convenzione di Faro sul Valore del Patrimonio Culturale.

La festa di Sant'Antonio ad Alfedena

La celebrazione in onore di Sant’Antonio ad Alfedena quest’anno è stata l’edizione dei record: dagli 800 quintali di legna accatastati per realizzare i fuochi, alle circa 3 mila presenze che hanno scaldato il paese per una festa che mescola perfettamente sacro e profano. Tanto che, come annunciato dal sindaco Luigi Milano ai microfoni del Capoluogo, “Speriamo di poter candidare questa ricorrenza a patrimonio immateriale dell’Unesco”. Sarebbe un bel riconoscimento per tutta la comunità alfedenese, un paese fatto di gente operosa da generazioni dove la campagna, gli animali, la vita agreste, sono stati il sostentamento da sempre. “È un iter lungo e complesso – chiarisce ancora il sindaco – ma faremo il possibile per potrare avanti la nostra proposta”. 

“Alfedena paese dei dottori”, così recita un antico motto che affonda le sue radici nel secolo scorso quando erano tanti i laureati rispetto al numero di abitanti. Titoli di studio sudati e raggiunti con il sacrificio delle famiglie dove in molti emigrarono fino in America per consentire ai figli di studiare. E chi non emigrò si specializzò nell’antico mestiere dei selciatori, andando a lavorare nell’Agro Romano. Un lavoro duro, faticoso che a molti costò la vita o gravi menomazioni. Per non dimenticarli mai, il paese, a imperitura memoria, ha fatto erigere una statua all’interno della Villa Comunale. Si tratta di una scultura commemorativa, eseguita da Sandro Pagliuchi, noto scultore di bronzo e marmo.

La festa di Sant'Antonio ad Alfedena

Sant’Antonio, si rinnova la tradizione dei fuochi in Abruzzo

Difficile adesso spiegare a parole cosa rappresenta per gli alfedenesi e, a questo punto non solo, viste le presenze anche da fuori regione, la festa dei Fuochi di Sant’Antonio. “Sant’Antonio allu diserte se faceva la permanente, Satanasse le’ dispiette glie freghette la corrente, Sant’Antonio non s’impiccia, con le dita se l’arriccia, Sant’Antonio Sant’Antonio lu nemice de lu dimonie”, recita una delle canzoni più antiche e forse più diffuse legate al culto del santo. Affidarsi a Sant’Antonio non è stato mai solo un atto di devozione quasi “scaramantico” legato alla cura del bestiame e del raccolto, ma un momento di unione e condivisione, di raccoglimento, di preghiera, ma anche di allegria e convivio. Nel tempo la festa si è arricchita, sono arrivati gli stand gastronomici, i gruppi musicali, le navette da e per Castel di Sangro, gli addobbi natalizi scintillanti  che restano per le vie del paese fino al 17 gennaio, prima era un momento dedicato quasi esclusivamente al culto della famiglia, al riposo dal lavoro contadino, da passare in casa davanti al fuoco di un camino o di una stufetta, di quelle economiche e smaltate di bianco, dove le nonnine di una volta avevano almeno un’immaginetta del santo, sormontata da un piccolo ramoscello di ulivo che veniva benedetta dal parroco del paese.

alfedena fuoco sant'antonio

Oggi, a tenere viva la tradizione dei Fuochi di Sant’Antonio, ci sono tutti o quasi i giovani del paese che già dall’inizio di gennaio per giorni accatastano “le lena” per preparare i tanti fuochi che vengono accesi in vari punti del piccolo borgo, prima della celebrazione della Santa Messa nella Chiesa dei Santi Pietro e Paolo che precede la benedizione degli animali nel piazzale antistante la chiesa. Come dicevamo da qualche tempo sono arrivati gli stand e i complessi musicali, prima erano gli alfedenesi stessi a vivacizzare il culto, animando la festa dal pomeriggio fino a notte inoltrata. Fra i tanti che continuano a tenera viva la tradizione, c’è l’assessore comunale Paolo Monacelli; tuttavia merita sicuramente una menzione un “ex” ragazzo di Alfedena: Crispino Crispi, storico titolare di un alimentari in paese, adesso in pensione, il cui fuoco ‘di famiglia’ veniva preparato sulla via Canapina, nel cuore storico del paese, la strada della sua infanzia, dove potevi incontrare insieme a tanti volti che hanno caratterizzato le storie alfedenesi, i genitori Giovanni e Ida, molto conosciuti e stimati, persone che non ci sono più e che fanno parte della memoria storica di un luogo dove in momenti come questi il tempo sembra cristallizzarsi.“Fuochista da sempre”, così si definisce, Crispino ha cominciato questa attività nel 1966. Con loro c’erano anche Alberto, Nello, Livio, zio Angelino e Alfredo che gli insegnarono a realizzare la catasta e quindi il fuoco perfetto. E poi c’era Pietro Melone, vero animatore della serata che andava avanti per ore a raccontare battute e vecchie storie, senza stancarsi mai. Non solo “fuochista”, Crispino come tanti altri suoi coetanei è anche “cantore” e vero animatore della festa per Sant’Antonio. Nel 1990, proprio durante i festeggiamenti, cominciò a circolare l’idea di raccogliere tutte le canzoni del paese. Un lavoro certosino, portato avanti da Crispino insieme alla sorella. Da lì la nascita del coro “Senza pretese” composto da circa 30 ragazzi del paese, che due anni dopo fece anche un piccolo concerto in piazza.

sant'antonio alfedena, crispino

Oggi ad aiutare Crispino ci sono tanti ragazzi, tra cui il figlio Giovanni che ha ereditato dal nonno non solo il nome, ma anche la passione per le tradizioni del suo paese. Quest’anno ha partecipato al suo primo Sant’Antonio ed è stato la mascotte del fuoco della Canapina, il piccolo Andrea, figlio di Giovanni.“Questo è quello che rappresenta Sant’Antonio per me e tutta la mia grande famiglia. Sorrisi, accoglienza, canti, balli, amicizia e condivisione. Le tradizioni vanno tramandate e custodite con orgoglio ed impegno affinché le generazioni future possano godere delle nostre stesse emozioni. Ognuno di voi ha reso questa serata magica, ognuno di voi rende la Canapina, un posto incantevole”, è il commento di Giovanni il giorno dopo la festa.

sant'antonio, alfedena

Il protocollo per la serata è più o meno consolidato: intorno al fuoco si canta, si brinda con del rosso schietto e sincero, ci si abbraccia, “si raccontano i fatti”. Prima dell’arrivo degli stand ognuno portava da casa ciò che aveva: gennaio è anche tempo di “fare il maiale”, quindi insieme al vino c’erano le salsicce, il prosciutto, il pane fresco e dalla crosta croccante, rigorosamente di Mimino, lo storico fornaio, o la pizza “di Eva”, rossa o “con le foglie”, qualcuno portava le patate da cuocere alla brace, la panonta, le “lullitte e faciule”, (che i più attenti avranno ritrovato sicuramente sul set del film campione d’incassi ‘Un mondo a parte’ girato nella vicina Opi), le tanto amate “ciceranate”, che altro non è che granturco bollito nelle “cottore” e servito nei cartocci. Quei cartocci per molti “ex ragazzi di Alfedena”, avevano il sapore della felicità: quella sera era concesso fare più tardi, anche i bambini veniva dato un goccio di vino nel bicchiere d’acqua, ma soprattutto si ascoltavano tante storie, dalla voce dei genitori e dei nonni che oggi non ci sono più. Anche per loro è importante mantenere il ricordo, tenere viva la tradizioni, farla conoscere, esportarla fuori dai confini. Un compito prezioso e un testimone per le future generazioni. La speranza adesso è che ci sia anche solo una possibilità per la festa di Sant’Antonio di Alfedena di entrare nel novero di quei beni che non si possono toccare, ma fanno parte del patrimonio di tutti. “Le tradizioni vanno tramandate con orgoglio e impegno”, proprio come ci insegna Giovanni Crispi.

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Fuochi di Sant’Antonio