Il Gonfalone dei Santi protettori dell’Aquila, i segreti del gioiello tornato a splendere

3 febbraio 2025 | 05:54
Share0
Il Gonfalone dei Santi protettori dell’Aquila, i segreti del gioiello tornato a splendere

Il Gonfalone dei Santi protettori dell’Aquila torna a casa. Storia di un simbolo religioso e civile dell’Aquila.

Dopo il restauro a opera dell’Opificio delle Pietre Dure, dov’è rimasto custodito per diversi anni, il Gonfalone dei Santi protettori dell’Aquila torna a casa. Storia di un simbolo religioso e civile dell’Aquila¹.

Notizie di un antico Gonfalone dei Santi protettori dell’Aquila si hanno a partire dal 1462, quando, piegata dal terremoto dell’anno precedente, la città commissionò uno stendardo dipinto dedicato alla Madonna per implorare protezione divina da ulteriori calamità, sulla spinta delle prediche quaresimali dell’osservante fra Timoteo da Verona. Oltre alla Vergine Maria erano presenti sul gonfalone i quattro Santi patroni e in basso il beato Giovanni da Capestrano, a rimarcare la commissione francescana dell’opera. Stando alle fonti storiche, nel corso dei secoli vari artisti si cimentarono nella realizzazione di altri drappi: nel 1510 Saturnino Gatti fu pagato per la “bannera grande” e nel 1528 Cola dell’Amatrice veniva sollecitato dal Comune a terminare il gonfalone della città da lungo tempo incominciato. Questi stendardi erano destinati alla basilica di San Bernardino, mentre quelli in uso dalle magistrature cittadine erano di fogge più semplici e venivano impiegati nelle esecuzioni capitali e per la processione notturna del Venerdì Santo. Durante il Giubileo del 1575 il gonfalone francescano – opera di Rinaldo Fiammengo – venne portato in processione a Roma e poi donato alla Basilica di San Pietro; pochi anni dopo, nel 1579, ne fu commissionato uno nuovo a Giovanni Paolo Cardone, ancora oggi simbolo della città dell’Aquila.

Il maestoso gonfalone di Città – che misura 442 cm x 315 cm – è firmato dall’artista in basso a sinistra: sotto la figura di San Massimo si legge “CARDONUS AQUIL[ANUS] P[INXIT]”, seguito dalle prime due cifre della data, scarsamente leggibili. Sul drappo è raffigurata la città dell’Aquila sorretta dai suoi quattro santi patroni – san Massimo, san Pietro Celestino, san Bernardino da Siena e sant’Equizio – simbolicamente rimessa alla protezione di Cristo Risorto, per intercessione della Vergine, raffigurata alla destra del Figlio; dall’altro lato è inginocchiato un angelo che regge l’ampolla contenente il crisma, accanto al quale si staglia una colonna. Tutta l’iconografia ha un alto valore teologico: la colonna, simbolo della flagellazione, è sormontata da una nuvola da cui scendono tre rivoli di sangue, rimando alla Trinità, mentre lo Spirito Santo è rappresentato dalle fiammelle dorate che punteggiano lo sfondo dello stendardo; ai piedi della Croce sono posti due putti che innalzano l’ostensorio, ribadendo la centralità dell’Eucarestia stabilita nel Concilio di Trento. La scena centrale è arricchita da una cornice di fregi dorati, che inquadrano i simboli delle due anime della committenza dell’opera: quella civile è rappresentata dall’aquila nera dello stemma di città e quella religiosa dal trigramma bernardiniano. In basso il gonfalone termina in cinque drappelle, chiamate nel contratto “bannerole da piede”, su cui sono dipinti, in alternanza, i santi dell’Ordine francescano – sant’Antonio da Padova, san Francesco d’Assisi e san Giovanni da Capestrano, riconoscibili per gli attributi iconografici – e due vescovi nei loro paramenti sacri. Sul verso dello stendardo è presente lo stemma francescano attorniato da cherubini.

Molto interessante è la veduta prospettica dell’Aquila, testimonianza fedele del suo aspetto prima della distruzione e ricostruzione successive al terremoto del 1703. L’abitato è “fotografato” da sud-ovest, dalla zona di Monte Luco presso Roio; si distinguono bene i principali monumenti civili e religiosi come il Castello, il Palazzo di città, la basilica di San Bernardino da Siena, Santa Maria Paganica e San Silvestro, solo per citarne alcuni. Non è presente Santa Maria di Collemaggio, perché Giovanni Paolo Cardone dipinge la città intra moenia: si vedono così anche gli ampi spazi destinati agli orti, le mura e le porte della cinta; al centro si apre Piazza Duomo, dove, oltre la Cattedrale, sono visibili i loggiati in legno delle botteghe. È verosimile che tale rappresentazione estremamente dettagliata sia frutto di una collaborazione con un “mesurator”, forse lo stesso Ieronimo Pico Fonticulano, che in quegli anni era incaricato della nuova sistemazione urbanistica della città.

Il Gonfalone di Città rimase nella basilica di San Bernardino fino al 1865, quando, con la soppressione degli Ordini religiosi, il convento fu adibito a quartiere militare e i beni mobili, incluso il drappo, passarono alla Cassa ecclesiastica. Agli inizi del ‘900 fu trasferito nella Pinacoteca municipale e, dopo un restauro alla metà degli anni Ottanta ad opera dell’allora Istituto Centrale del Restauro, fu collocato in una sala debitamente allestita al piano terra del Museo Nazionale d’Abruzzo. Sgomberato insieme alle altre opere dopo il terremoto del 6 aprile del 2009, il gonfalone è stato in restauro presso i laboratori dell’Opificio delle Pietre Dure di Firenze, dove il 31 gennaio scorso è stato presentato il delicato intervento conservativo. E ora se ne attende il rientro in città.

[1] G. SIMONE, Il Gonfalone di Città di G. P. Cardone ed altre committenze artistiche pubbliche nel periodo margaritano, in Bullettino della Deputazione Abruzzese di Storia Patria, annata CVI (2015), L’Aquila, pp. 91 – 136.

gonfalone dei santi protettori dell'aquila