Dopo la condanna a 21 anni per don Paolo Piccoli parla la madre, “Avete distrutto la vita di un innocente”

22 febbraio 2025 | 09:49
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Dopo la condanna a 21 anni per don Paolo Piccoli parla la madre, “Avete distrutto la vita di un innocente”

“Mio figlio è innocente e la sua vita adesso è rovinata. Ha speso una vita per il sacerdozio, seguendo una vocazione che ha sentito fortissima fin quando era bambino”. A parlare, con la voce rotta dall’emozione, è Anna Maria Piccoli, madre di don Paolo Piccoli, prete veneto incardinato nell’Aquilano, condannato in via definitiva a 21 anni dalla Suprema Corte di Cassazione, con un’accusa pesantissima per un sacerdote: l’omicidio di don Giuseppe Rocco.

“Mio figlio è innocente e la sua vita adesso è rovinata. Ha speso tutta la sua esistenza per il sacerdozio, seguendo una vocazione che ha sentito fortissima fin da quando era bambino”. A parlare, con la voce rotta dall’emozione, è Anna Maria Piccoli, madre di don Paolo Piccoli, prete veneto incardinato nell’Aquilano, condannato in via definitiva a 21 anni dalla Suprema Corte di Cassazione – dopo un processo bis e un ricorso della difesa pienamente accolto in prima istanza – con un’accusa pesantissima per un sacerdote: l’omicidio di don Giuseppe Rocco, un anziano monsignore con cui coabitava all’interno della Casa del Clero di Trieste.

Anna Maria Piccoli ha sperato per quasi 10 anni che la storia giudiziaria di suo figlio prendesse un corso diverso: don Paolo Piccoli è il suo unico figlio e il suo ultimo affetto, essendo rimasta vedova da alcuni anni. Vive a Verona, dove ha sempre condotto un’esistenza tranquilla e serena. È rimasta sola, il figlio attualmente si trova recluso nel carcere di Rebibbia dove deve scontare la sua pena. Ancora non riescono a incontrarsi, non si vedono da prima della condanna, dal momento che il sacerdote aveva dovuto ricorrere ad un ricovero in ospedale a Roma per un delicato intervento in concomitanza con il pronunciamento in Cassazione e da lì, dopo la riabilitazione, è stato tradotto direttamente nel penitenziario romano.  Il processo bis si era chiuso a marzo scorso a Venezia, cui si è arrivati dopo la sentenza della Cassazione che nel marzo 2023 aveva annullato la condanna a 21 anni e 6 mesi pronunciata a Trieste dalla Corte d’Assise e confermata dalla Corte d’Assise d’appello. Il motivo principale dell’annullamento era la mancata ammissione dei consulenti di parte. Una sentenza che ha lasciato tanta amarezza anche nella difesa che, in questi anni, ha cercato di fare il possibile per scagionarlo da ogni accusa. “È stato un processo molto difficile – è stato il commento a caldo dopo la sentenza dell’avvocato Vincenzo Calderoni, del foro dell’Aquila, che difendeva don Piccoli insieme al collega Roberto Borzone (durante il processo a Trieste c’era anche l’avvocato Stefano Cesco del foro di Pordenone ndr) – sono stati anni impegnativi, quasi 10, e abbiamo fatto il possibile. Resta l’amaro in bocca, siamo stati due volte in Cassazione, scandagliando i fatti sotto ogni aspetto, sperando in un esito diverso per un uomo che si è sempre professato innocente”. 

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Mio figlio è un martire, un innocente, condannato per coprire errori altrui e incarcerato dopo tre processi farsa che sono andati avanti per anni minandolo e minandoci nel corpo e nello spirito. Oggi sono qui, chiusa nel mio dolore e mi chiedo come facciano certi giudici a dormire sonni tranquilli dopo aver rovinato la vita di un essere umano”, è il commento accalorato rilasciato dalla signora Anna Maria ai microfoni del Capoluogo. Parole cariche di commozione che la madre aveva già ribadito quando le telecamere della trasmissione “Quarto grado” nel 2018 si appostarono sotto la sua casa in attesa di una dichiarazione nel momento in cui il processo si stava discutendo ancora a Trieste ed era alle sue battute iniziali. “Mio figlio è innocente e vittima di un complotto. La verità verrà fuori”, aveva detto all’epoca, ancora fiduciosa e confidando ci fosse ben altro esito. Tra le altre cose, il processo a carico di don Piccoli ha avuto anche un forte clamore mediatico: tra innocentisti e colpevolisti, da “Quarto Grado” a “Chi l’ha Visto”, passando per un “Un giorno in pretura” che ha seguito la vicenda processuale, tutta la stampa nazionale si è occupata di questo omicidio che all’inizio sembrava fosse una morte naturale, vista anche l’età avanzata della vittima. Don Rocco venne rinvenuto privo di vita nella sua stanza della Casa del Clero di Trieste il 25 aprile 2014 dalla sua assistente, Eleonora Laura Dibitonto che divenne poi l’unica grande accusatrice di don Paolo e, tra l’altro, unica destinataria dell’eredità della vittima, consistente in beni immobili e denaro.

don paolo piccoli processo

L’accusa di omicidio arrivò diverse settimane dopo la morte a seguito dell’autopsia che riscontrò la rottura dell’osso ioide, una circostanza che per il collegio difensivo – tra cui i tecnici nominati dalla difesa che hanno analizzato l’autopsia – poteva essere avvenuta post mortem, ad esempio durante lo spostamento della salma sul letto. Sempre secondo la tesi difensiva, la signora Dibitonto sarebbe stata l’autrice di una lettera anonima in cui accusava don Piccoli, nella quale veniva ricostruita in maniera dettagliata tutta la dinamica dell’omicidio, mesi prima della chiusura delle indagini. L’identità tra la grafia con la quale venne manoscritta la busta e la grafia della perpetua venne attestata da una perizia grafologica richiesta dalla difesa che i giudici di merito non hanno mai voluto accettare, nonostante riportasse una ricostruzione dei fatti molto dettagliata che non poteva essere nota nel momento della stesura, se non a chi aveva vissuto quegli eventi.

A inchiodare don Paolo, oltre le dichiarazioni della perpetua, tre piccolissime tracce ematiche rinvenute sul letto di don Rocco che, come per stessa ammissione del sacerdote, erano la conseguenza di una grave patologia che lo affliggeva in quel periodo e sarebbero cadute sul letto nel momento in cui stava officiando il rito della benedizione della salma, accorso nella stanza insieme agli altri ospiti della Casa del Clero, dopo la notizia del decesso. La madre aveva spiegato già nel 2018 che si trattava di una forma di sclerosi cutanea di cui soffrivano entrambi da tempo e che comportava la perdita di alcune crosticine epidermiche.

don paolo piccoli processo

A don Piccoli venne contestato di aver ucciso don Rocco per impossessarsi di alcuni monili che il sacerdote aveva nella stanza e soprattutto della collanina che l’anziano prelato indossava sempre; una tesi più volte smentita dalla difesa durante tutte le fasi di dibattimento. La collanina – come accertato di nessun valore commerciale – di fatto non è mai stata trovata, nonostante le diverse perquisizioni nella stanza dell’imputato, “se non al collo della perpetua”, come ribadito più volte dalla difesa.

“Mio figlio non è un ladro, non è un cleptomane, ma soprattutto non è un assassino!”,ribadisce con forza la mamma che ha sempre curato e sostenuto questo unico figlio tanto desiderato. Non aveva bisogno di rubare, non gli è mai mancato nulla e con mio marito lo abbiamo sempre supportato. Da piccolo era un bambino buono, vivace, affettuoso, generosissimo con tutti, legatissimo alla nonna. La vocazione è arrivata durante le superiori. Dalle medie ha frequentato i Salesiani dove ha proseguito gli studi fino a diplomarsi brillantemente al Liceo Scientifico e in quegli anni ci fece capire che il sacerdozio sarebbe stata la sua strada. Ovviamente all’inizio eravamo dubbiosi, ma la sua tenacia è stata più forte di ogni cosa”.

Don Paolo proviene da un’ottima famiglia di Verona, conosciuta e stimata, il padre, Guerrino, scomparso qualche anno fa, era un libero professionista molto noto della zona, un onesto lavoratore, un marito affettuoso, un padre presente, un uomo senza vizi e ombre, storico rappresentante di frigoriferi industriali, in pieno boom economico, ha sostenuto la sua famiglia con la sua attività senza far mancare mai nulla. “Voleva che nostro figlio seguisse le sue orme  – ricorda ancora la madre – per via di questa sua grande comunicativa che lo rendeva simpatico a tutti, ma Paolo aveva già deciso che la sua strada sarebbe stata un’altra, nonostante dopo il servizio militare avesse conseguito brillantementeil corso per rappresentanti arrivando tra i primi 3 su 90“.

Chi conosce bene don Paolo lo sa: ha sempre affermato di essere nato per l’abito talare, tanto da diventare uno dei sacerdoti più esperti in liturgia antica e paramenti sacri. È un prete singolare, sicuramente, dall’aspetto e dal look ‘vintage’, con i colletti perfettamente inamidati, il cappello adatto ad ogni occasione, la stola giusta per battesimi, comunioni, matrimoni o funerali, ma per molti non è un assassino, in tanti in questi anni hanno sostenuto la sua innocenza. Nell’aspetto ricorda un po’ il personaggio di don Camillo creato da Giovannino Guareschi e portato al cinema da Fernandel.

“Conosce tutta la liturgia a memoria, in latino, greco e italiano. Ha studiato molto e con impegno la sua casa è piena di libri, appunti e ricordi. Non ha mai smesso di documentarsi, aggiornarsi e dovunque è andato ha cercato di lasciare un sorriso“. Le parole di questa madre affranta combaciano con quanto affermato dai parrocchiani di Rocca di Cambio – dove don Piccoli arrivò negli anni ’90 –  che, ai microfoni di “Chi l’ha Visto”, nel servizio andato in onda qualche tempo fa, si sono schierati dalla parte del loro ex parroco, convinti della sua innocenza e ricordando anche l’allegria che aveva portato nel piccolo comune incastonato nell’Aquilano. Dopo Rocca di Cambio andò a Pizzoli, dove balzò agli onori delle cronache per alcune incomprensioni con il sindaco causate da un impianto campanario con cui il parroco “richiamava” i fedeli e, successivamente, scelse di imbarcarsi come cappellano sulle navi da crociera, in giro per il mondo.”Anche lì ha lasciato sorrisi e buoni ricordi – continua ancora la signora Anna Maria – in tanti gli scrivevano, lo chiamavano per avere sue notizie, nel tempo sono venuti a trovarlo a Verona”. A metà anni Duemila sono arrivati i primi e seri problemi di salute, un intervento impegnativo, la riabilitazione, tanto da decidere di tornare a L’Aquila, dove si era sempre sentito ‘a casa’. “È sempre stato un allegro, magari un po’ fuori dalle righe, ma come tanti sono certissima che mio figlio sia una persona perbene, rispettoso dell’abito talare che ha scelto di indossare e ‘sposare’ per tutta la vita”.

Si trovava a L’Aquila la notte del 6 aprile 2009 e, come per molti altri, quell’incubo lo aveva segnato. È stato una delle tante vittime, sopravvissuti al sisma, fagocitati dal disturbo da stress post – traumatico. Quella notte perse il suo cane, fedele compagno da tantissimi anni che per lui era più di un figlio e, per sua stessa ammissione, per un  periodo di tempo ha sofferto di una brutta forma depressiva che sfociò in un eccessivo consumo di alcol, poi superato. Niente che abbia mai influito sul mio comportamento. Perché mai avrei dovuto buttare 43 anni di vita religiosa, di cui 26 anni di sacerdozio e 23 di monsignorato, per una catenina e due bomboniere?”, ha spiegato lo stesso don Paolo in una recente intervista.

La speranza della madre adesso è di poter riabbracciare presto il suo ‘ragazzo’. “Da Verona non posso muovermi, non sto bene, spero che il mio pensiero affettuoso sia sempre con lui, per me sarà sempre innocente, fino alla fine“. 

A questo link la puntata integrale di Un Giorno in Pretura dedicata al processo