Imbrattata pavimentazione, quando la protesta perde la sua voce: il confine tra lotta e vandalismo

9 marzo 2025 | 15:16
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Imbrattata pavimentazione, quando la protesta perde la sua voce: il confine tra lotta e vandalismo

Imbrattata la pavimentazione del centro storico durante la manifestazione per l’8 marzo. Le manifestazioni sono strumenti potenti di espressione collettiva, momenti in cui le voci di chi lotta per un cambiamento sociale si uniscono in un coro che può scuotere coscienze e istituzioni. Tuttavia, esiste un confine sottile tra il rendere una protesta visibile e trasformarla in un atto che rischia di oscurarne il significato.

A L’Aquila, durante la manifestazione per l’8 marzo “Lotto, boicotto e sciopero”, alcune scritte sulla pavimentazione e fumogeni neri intorno alla statua del Tritone hanno sollevato indignazione.

Il gesto, sebbene probabilmente pensato per attirare l’attenzione sulla causa femminista e transfemminista, ha innescato una reazione che si è concentrata più sull’azione in sé che sul suo messaggio. Il rischio è proprio questo: quando una protesta viene percepita come un atto di vandalismo, il dibattito si sposta dal tema della lotta al giudizio sull’atto compiuto. Eppure, come abbiamo scritto pochi giorni fa quando parlavamo di “Non fiori ma diritti”, questa giornata non è solo celebrazione, ma rivendicazione. E perché la rivendicazione sia efficace, deve saper arrivare a chi ancora non ascolta.

L’8 marzo non è solo una giornata simbolica, ma un momento in cui è fondamentale ricordare che la battaglia per i diritti di donne, persone non binarie e soggettività marginalizzate è una battaglia che riguarda tutte e tutti. Non è un tema che può lasciare indifferenti: si parla di diritti, di parità, di giustizia sociale.

Per questo è essenziale che il messaggio arrivi forte e chiaro. Chi manifesta ha il compito non solo di far sentire la propria voce, ma anche di creare un ponte tra la propria causa e chi ancora non la comprende o non se ne sente parte. Un corteo rumoroso, che occupa lo spazio pubblico con slogan, striscioni e presenza, può accendere una scintilla nelle persone che fino a quel momento non si erano mai poste domande su un determinato problema. Se invece la protesta si traduce in un gesto che viene percepito come un danno al patrimonio pubblico, quell’ipotetico osservatore esterno vedrà solo il danno, e non il motivo per cui le persone stanno lottando.

La libertà di espressione è un diritto fondamentale, e la storia insegna che le proteste hanno spesso scardinato il sistema attraverso gesti radicali. Tuttavia, radicalità non significa necessariamente distruzione. Esistono modi altrettanto incisivi per farsi sentire senza perdere il contatto con chi si vuole coinvolgere.

Un esempio può essere proprio il simbolismo: il colore fucsia, scelto dal movimento Non Una di Meno, è una strategia comunicativa che crea impatto senza risultare divisiva. Il rumore di un corteo, la potenza delle parole, la creatività nelle forme di protesta possono scuotere l’opinione pubblica più di un atto che rischia di diventare solo un’arma nelle mani di chi vuole screditare la lotta.

L’Aquila, imbrattata pavimentazione durante manifestazione per 8 marzo

Le lotte dell’8 marzo sono necessarie, perché non si tratta di rivendicazioni di parte, ma di diritti che riguardano la società nel suo insieme. Proprio per questo è fondamentale porsi una domanda: vogliamo sfogare la nostra rabbia o vogliamo che il nostro messaggio arrivi forte e chiaro? Se l’obiettivo è il cambiamento, allora la forma della protesta è fondamentale tanto quanto il contenuto. Nel momento in cui il messaggio si perde dietro il gesto, chi lotta rischia di trovarsi a combattere non più per il proprio diritto, ma contro le critiche per il modo in cui ha scelto di esprimersi. E in quel caso, a vincere sarà sempre chi vuole che nulla cambi.