Amalia Sperandio, la fotografa che raccontò L’Aquila tra Otto e Novecento

29 marzo 2025 | 19:31
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Amalia Sperandio, la fotografa che raccontò L’Aquila tra Otto e Novecento

Amalia Sperandio, pioniera dell’emancipazione femminile. Il ritratto nell’intervista alla dottoressa Elisa Piccirilli.

Sfuggita all’oblio per decenni, la figura di Amalia Sperandio emerge oggi come una pioniera della fotografia e dell’emancipazione femminile. Ne parliamo con Elisa Piccirilli, studiosa che ha dedicato alla fotografa un’importante ricerca accademica, riportando alla luce la sua storia e il suo straordinario lavoro.

Nel panorama della fotografia storica italiana, il nome di Amalia Sperandio emerge come una straordinaria eccezione. In un’epoca in cui le donne erano relegate a ruoli di madri, mogli e lavoratrici, Amalia si fece strada in un settore prevalentemente maschile, lasciando una testimonianza preziosa della società aquilana tra Otto e Novecento. Fotografie che, per decenni, sono rimaste nascoste nei cassetti di alcuni aquilani, custodite da collezionisti o vendute nei mercatini, fino a quando non si è compreso che quella piccola sigla “A. Sperandio” apparteneva a una donna, una fotografa che aveva raccontato con il suo obiettivo la vita e le trasformazioni della città.
Abbiamo parlato della sua figura con Elisa Piccirilli, dottoressa in Beni Culturali laureata all’Università degli Studi dell’Aquila, che ha dedicato alla fotografa una tesi magistrale di grande rilievo, premiata con il massimo dei voti e una menzione di pubblicazione. “Amalia Sperandio è stata una pioniera dell’emancipazione femminile,” ci racconta. “In un tempo in cui le donne erano relegate agli spazi domestici o, al massimo, al lavoro nei campi o nelle botteghe, lei ha saputo farsi spazio come fotografa professionista. Attraverso i suoi scatti ha immortalato la città dell’Aquila e i suoi abitanti, raccontando storie che ancora oggi ci parlano di un’epoca passata.”

amalia sperandio

Il suo lavoro ha attraversato ogni strato della società: da un lato, gli interni sontuosi delle famiglie nobiliari come i Dragonetti de Torres, di cui fu governante e istitutrice; dall’altro, le mani ruvide delle lavandaie, le rughe delle contadine sedute in Piazza Duomo, la quotidianità di una città in fermento. “La potenza di Amalia sta nella sua capacità di non imporsi limiti,” ci spiega. “Poteva ritrarre la raffinatezza della nobiltà quanto la fatica delle classi popolari. In un certo senso, è stata una reporter ante litteram, capace di documentare un mondo che andava cambiando, con un occhio attento e sensibile.”
Ma com’è arrivata Amalia alla fotografia? Nata nel 1854 da Giovanni Sperandio e Concetta Sorrentino, visse parte della sua giovinezza a Napoli, dove il padre, combattente nei moti risorgimentali, aprì una libreria. Fu in quell’ambiente colto che Amalia sviluppò il suo amore per l’arte e la cultura. Dopo la morte del padre, il ritorno in Abruzzo segnò una svolta: accolta dalla famiglia Leosini e successivamente dai Dragonetti de Torres, riuscì a investire nella sua passione per la fotografia, grazie anche al sostegno economico ricevuto. “Parliamo di attrezzature pesanti, di lunghe camminate con l’ingombrante equipaggiamento fotografico,” ci dice Elisa Piccirilli. “Amalia viaggiava a piedi o a dorso di mulo per immortalare paesaggi, monumenti e persone. Era una donna fuori dagli schemi: fumava la pipa, indossava scarponi, si vestiva in modo anticonvenzionale. Una figura che, all’epoca, destava curiosità e anche derisione, ma che oggi possiamo riconoscere come una pioniera.”
Uno degli aspetti più affascinanti della sua produzione è il dualismo tra lusso e semplicità: nelle sue immagini troviamo sia i sontuosi saloni delle residenze nobiliari che la vita quotidiana dei ceti più umili. Una delle sue fotografie più iconiche ritrae un’anziana venditrice in Piazza Duomo: le mani segnate dalla fatica, il volto scavato dal tempo, lo sguardo fiero. “Quella foto mi ha colpito profondamente,” ci confida. “Ci fa domandare: quanto ha lavorato quella donna? Quanto freddo ha sopportato? Amalia le dà dignità, allo stesso modo in cui rappresentava i nobili con i loro gioielli e velluti. E questo è il suo grande insegnamento: la fotografia come strumento di memoria e di equità sociale.”

amalia sperandio

Oggi il suo straordinario lavoro viene celebrato con una mostra omaggio, allestita lungo il corso ripavimentato dell’Aquila. L’iniziativa è stata resa possibile grazie al contributo dell’associazione Jemo ‘Nnanzi e alla collaborazione con la casa editrice One Group Edizioni. Quest’ultima, già in passato, aveva pubblicato un libro dedicato alle fotografie di Amalia Sperandio, contribuendo a far emergere una storia straordinaria.
Amalia Sperandio ha lasciato un’eredità preziosa: le sue immagini sono un archivio visivo della storia aquilana, una testimonianza che ancora oggi ci permette di comprendere e rivivere un’epoca passata. “Amalia continua ad ammaliare,” conclude Elisa Piccirilli. “Non solo per la bellezza delle sue foto, ma per il messaggio di determinazione, indipendenza e libertà che la sua storia ci trasmette. Una donna che non ha accettato i limiti imposti dalla società e che, attraverso il suo obiettivo, ha dato voce a un’intera comunità.”