Cultura

Le nuove stanze della poesia, Giannina Milli

Il ritratto della poetessa teramana Giannina Milla per la rubrica Le nuove stanze della poesia, a cura di Valter Marcone.

Il ritratto della poetessa teramana dell’800 Giannina Milli, per l’appuntamento con la rubrica Le nuove stanze della poesia a cura di Valter Marcone.

Giannini milli

Giannina Milli, all’anagrafe Giovanna Milli (Teramo, 24 maggio 1825 – Firenze, 8 ottobre 1888), è stata una scrittrice, poetessa e educatrice italiana.

Giannina Milla era nata a Teramo, ricevette dalla madre la prima educazione.

Dopo i soggiorni a Chieti e a Napoli, Giannina rientrò dal 1842 nella sua città natale dove ebbe tra gli altri come maestri il letterato Stefano De Martinis e il musicista Camillo Bruschelli.

Tra il 1850 e il 1860 fu a Napoli, in Puglia e in Sicilia, a Roma, a Firenze, a Bologna e infine a Milano, accolta nei più importanti teatri e salotti letterari, sempre incoraggiando alla lotta contro la tirannia e all’impegno per l’Unità d’Italia

Nel 1832, dopo che la famiglia si era trasferita temporaneamente a Chieti, Giannina si esibì per la prima volta su di un palcoscenico, insieme ad una compagnia itinerante di comici, recitando alcuni versi della Divina Commedia e della Gerusalemme Liberata.

Il successo fu tale che Ferdinando II, in visita in quella provincia, desiderò conoscere la giovane poetessa, e successivamente la convocò a Napoli perché continuasse gli studi in un istituto di educazione femminile, il Convitto per le figlie dei militari.

Nel 1842, diffusosi il colera a Napoli, Regina per sottrarre la figlia al pericolo dell’epidemia la ricondusse a Teramo; lì la fanciulla continuò i suoi studi letterari guidata da Stefano De Martines. Imparò così a comporre versi sempre più raffinati e soprattutto a perfezionare la sua capacità innata di improvvisatrice

Le sue “serate”, durante le quali declamava versi composti all’istante su temi proposti dal pubblico presente in sala, avevano soprattutto lo scopo di accendere gli animi a sentimenti patriottici. Per esempio il 5 dicembre 1858 Giannina Milli ( si esibisce per la prima volta in pubblico a Bologna al Teatro del Corso, affollatissimo per l’occasione.Senza tener conto della presenza in sala del cardinale Legato e di ufficiali Austriaci, la poetessa, dotata di fervida mente, “piena di concetti alti e filosofici”, auspica un felice futuro per l’Italia.

La potenza della sua improvvisazione suscita sentimenti di amor patrio nel pubblico presente. Gli spettacoli successivi, pur ricchi di momenti felicissimi, saranno in parte menomati dalla censura preventiva, che obbligherà l’artista a scartare i temi migliori.Il 21 novembre 1859, dopo la partenza degli Austriaci da Bologna, alla Milli sarà accordata una trionfale accademia e le sarà consegnata una medaglia ricordo per il coraggio dimostrato l’anno precedente

Oreste Raggi scrive che essendo “il suo poetare troppo libero ella veniva accusata di repubblicanismo e minacciata di prigionia; onde dovette per due o tre mesi guardarsi, e una raccolta dei suoi versi pubblicata in Teramo, divenne libro pericoloso a chi lo possedeva….” ( Raggi 1876).

La raccolta di quarantanove componimenti della Milli divenne, infatti, libro proibito; molti che lo avevano acquistato lo nascosero, mentre le copie ancora possedute dalla famiglia dell’autrice furono bruciate per timore di ritorsioni. Dopo gli eventi politici del 1848, che costrinsero la donna a ripiegare su studi solitari, “svanito il pericolo ella pensò ormai a lasciare le piccole città della provincia e a spiccare il volo più alto”(Raggi 1876).

L’11 settembre 1850 la poetessa Giannina ottenne dalla Curia Capitolare Aprutina il “certificato di buona condotta religiosa e morale”, indispensabile per poter viaggiare liberamente per l’Italia.

Fu in amicizia e in corrispondenza con intellettuali e politici tra i quali Alessandro Manzoni, il critico letterario Francesco De Sanctis, lo storico Pasquale Villari, i poeti Giovanni Prati e Aleardo Aleardi, il memorialista Luigi Settembrini e lo scrittore Alceste De Lollis; tra le amiche oltre alla contessa Clara Maffei che la ospitò spesso nel suo salotto, anche Luigia Codemo, Eugenia Fortis, Emilia Peruzzi e Cesira Pozzolini.

Visse a lungo a Roma dove fu direttrice didattica e ispettrice ministeriale. Seguì poi in varie città il marito Ferdinando Cassone nominato provveditore agli studi. Ritornò infine nella sua amata Firenze dove morì nell’ottobre del 1888.

Le migliaia di lettere dei suoi epistolari sono conservate in particolare presso la Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze e la Biblioteca provinciale Melchiorre Dèlfico di Teramo. Sempre nella biblioteca di Teramo si conserva anche la collezione delle fotografie: quattro album con oltre 400 ritratti d’epoca recanti dediche e pensieri alla Milli rivolti da personaggi della cultura e della politica europea.

Il mio canto
E’ ver, doglioso e mesto è il canto
Che a me sul labbro sospinge il cor;
Una inesausta vena di pianto
De’ più begli anni mi attrista il fior.

Pur, se mi chiedi da che deriva
Quello che m’ange crudo martir,
Dirò che ho pena segreta e viva,
Ma perchè peno io non so dir.

Perchè sospira chiedi all’auretta
E perchè mormora chiedi al ruscel,
Chiedi a che geme la colombetta
Mentre ha d’appresso il suo fedel.

Ch’è in lor natura, risponderanno,
Spirare, gemere e mormorar;
Così i miei versi altro non hanno
Senso gradito, che il lamentar.

4 Giugno 1849
Un desiderio
Vorrei col vol dell’aquila
Levar lo spirto anelo
A spaziar pe’ lucidi
Campi del vasto cielo;
Libera al par dell’aria,
Un solo istante almen,
Vorrei slanciarmi a vivere
Dell’infinito in sen!
Se in una stella scegliere
Dovessi mai dimora,
Non sceglierei la splendida
Foriera dell’aurora;
Ma in grembo a un astro, incognito
Al mortal guardo ancor,
Vorrei romita accogliermi,
Vivervi ascosa ognor.
*
Romanza
E’ ver, doglioso e mesto è il canto
Che a me sul labbro sospinge il cor;
Una inesausta vena di pianto
De’ più begli anni m’attrista il fior.
Par, se mi chiedi da che deriva
Quello che m’ange crudo martir,
Dirò che ho pena segreta e viva,
Ma perché peno, io non so dir.
Perché sospira chiedi a l’auretta,
E perché mormora chiedi al ruscel,
Chiedi a che geme la colombetta
Mentre ha d’appresso il suo fedel.
Ch’è in lor natura, risponderanno,
Spirare, gemere e mormorar;
Così i miei versi altro non hanno
Senso gradito, che il lamentar.
*
Il mattino
Allor che il lume della bionda aurora
La tranquilla rischiara aria serena,
Di un verde colle sull’altura amena
Sola co’ miei pensier traggo talora.
E come veggio tutta emerger fuora
Da rosea nebbia l’incantevol scena,
Cui fa specchio la pura onda tirrena
Lieve increspata dalla placid’ora;
In un mar di dolcezza indefinita
S’immerge la commossa anima, e oblia
Tutte le cure della stanca vita.
E a te, cara e gentil Napoli mia,
Cui fu tanta beltà da Dio largita,
Un saluto di amor per me s’invia.
*
La quarta rosa
Tre rose io m’ebbi, tre pudiche rose
Conforto e premio alla difficil via,
E dissi al fato: or più dilette cose
Dai non puoi né più sacre all’alma mia.
Ma qual pregio, o gentil tra le vezzose
Che l’odorata aura di maggio aprìa,
Qual altro pregio il cielo in te ripose
Poi che il vate d’Arnaldo a me t’invia!
Oh no! non urna preziosa tanto
Che di te degna sia, possiedo, o fiore,
Ch’io bacio e spargo di devoto pianto.
Ma qui starai, qui, sull’ardente core;
E tu v’addoppia, se t’è dato, il santo
Foco dell’arte e il cittadino amore.
*

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