Le nuove stanze della poesia

Le nuove stanze della poesia, Mahmoud Darwish

Mahmoud Darwish: una trilogia palestinese. Ne parliamo nell'appuntamento con la rubrica "Le Nuove stanze della poesia" a cura di Valter Marcone.

Sette ottobre duemilaventitre : miliziani di Hamas entrano da Gaza nel confinante territorio. Uccidono e sequestrano giovani che partecipano ad un rave party nel deserto del sud di Israele, il Nova Music Festival. Poi proseguono nel kibbuz di Kfar Aza uno degli oltre 20 villaggi e città attaccati da Hamas. con il massacro di più di 1200 israeliani, tre quarti dei quali civili, fra cui molti anziani, donne bambini, trucidati nelle proprie case e nei kibbutz Be’eri (108 vittime), Sderot , la più grande città israeliana vicino alla Striscia di Gaza e con la cattura di più di 240 israeliani, anche tra questi anziani, donne e bambini, portati a Gaza come ostaggi.

Una incursione che ha provocato una risposta senza precedenti e senza proporzioni da parte di Israele che ancora oggi continua a bombardare e a controllare il territorio di Gaza, un “ assedio totale della Striscia, che tra le altre cose significa il blocco completo delle forniture di cibo, acqua, carburante ed elettricità a cui è seguita una operazione militare di terra le cui vittime ( il ministero della sanità di Gaza parla di cinquemila )sempre più spesso civili ,alla ricerca dei covi dei miliziani di Hamas con una escalation sproporzionata , (la distruzione d interi quartieri come quello di Rimal ) malgrado gli appelli per il cessate il fuoco che restano, finora, inascoltati. . Mentre a più di un un milione di civili è stato chiesto di evacuare i territori nel nord della Striscia, tra cui la città di Gaza, in vista di bombardamenti ancora più massicci e di un’invasione di terra. Con conseguenze umanitarie, secondo l’ONU “ devastanti». Molti palestinesi nell’accingersi a lasciare il nord di Gaza temono che possano ripetersi gli eventi della “Nakba“, “catastrofe” in arabo, cioè quando circa 700mila palestinesi furono costretti a lasciare le proprie case prima e durante la guerra combattuta tra Israele e diversi paesi arabi nel 1948. Alla luce di quanto sta dunque accadendo in quel paese e in generale in tutto il Medio oriente, nella speranza che il conflitto non si estenda nell’area e in attesa di una tregua umanitaria che sospenda l’attività dei militari israeliani e permette il rilascio degli ostaggi , l’apertura del valico ai confini con l’Egitto per il transito degli aiuti alla popolazione, mi sembra interessante far conoscere ai lettori un poeta palestinese di cui Feltrinelli in questi giorni manda in libreria l’opera “ Una trilogia palestinese “ tradotta da R. Ciucani , una raccolta dei tre testi in prosa del poeta Mahmud Darwish.
Un poeta dagli accenti intimi ma anche pieni di uno sguardo per gli altri, la natura, il mondo intero, proprio come in questa sua composizione

PENSA AGLI ALTRI
Mentre prepari la tua colazione, pensa agli altri,
non dimenticare il cibo delle colombe.
Mentre fai le tue guerre, pensa agli altri,
non dimenticare coloro che chiedono la pace.
Mentre paghi la bolletta dell’acqua, pensa agli altri,
coloro che mungono le nuvole.
Mentre stai per tornare a casa, casa tua, pensa agli altri,
non dimenticare i popoli delle tende.
Mentre dormi contando i pianeti , pensa agli altri,
coloro che non trovano un posto dove dormire.
Mentre liberi te stesso con le metafore, pensa agli altri,
coloro che hanno perso il diritto di esprimersi.
Mentre pensi agli altri, quelli lontani, pensa a te stesso,
e dì: magari fossi una candela in mezzo al buio.

Mahmoud Darwish, scrittore palestinese considerato tra i maggiori poeti del mondo arabo, ha raccontato l’orrore della guerra, dell’oppressione, dell’esilio (al-Birwa, suo villaggio natale, è stato distrutto dalle truppe israeliane durante la Nakba e ora non esiste più, né fisicamente né sulle cartine geografiche). Fuggito in Libano con la famiglia, per scampare alle persecuzioni sioniste, tornò in patria (divenuta terra dello Stato d’Israele) da clandestino. Quella esperienza da clandestino nel suo stesso paese è stata la fonte di ispirazione di tutta la sua opera che di quella condizione racconta la vita .

PROFUGO
Hanno incatenato la sua bocca
e legato le sue mani alla pietra dei morti.
Hanno detto: “Assassino!”,
gli hanno tolto il cibo, le vesti, le bandiere
e lo hanno gettato nella cella dei morti.
Hanno detto: “Ladro!”,
lo hanno rifiutato in tutti i porti,
hanno portato via il suo piccolo amore,
poi hanno detto: “Profugo!”.
Tu che hai piedi e mani insanguinati,
la notte è effimera,
né gli anelli delle catene sono indistruttibili,
perché i chicchi della mia spiga che va seccando
riempiranno la valle di grano.

Arrestato svariate volte per la sua posizione illegale e per aver recitato poesie in pubblico, Mahmoud – che esercitò anche la professione di giornalista – fu costretto a vivere fuori del suo paese: Unione Sovietica, Egitto, Libano, Giordania, Cipro, Francia furono le principali nazioni dove il poeta, esule dalla sua terra, visse e lavorò. Eletto membro del parlamento dell’Autorità Nazionale Palestinese, poté visitare i suoi parenti solo nel 1996, anno in cui – dopo 26 anni di esilio – ottenne un permesso da Israele. Il poeta morì a Houston (Texas) il 9 agosto 2008 in seguito a complicazioni post-operatorie per un ennesimo intervento al cuore .

Tornando a “Una trilogia palestinese” dobbiamo ricordare come dice Elias Sanbar che Darwish per le vicende che caratterizzano la sua vita non fu un ambasciatore palestinese . Cercò di assumere una sua visione delle vicende in piena libertà, proprio quella che gli veniva negata nel suo paese. “Certamente la Palestina era il suo humus, la terra dove affondava le radici: la sua flora e la sua fauna, la sua musica e le sue nuvole, ma tutto questo non doveva essere il suo limite. Se parla di terra, quella terra è proprio la sua terra. Non si è mai impantanato nelle chiavi di lettura che davano della sua opera”.
Particolarmente importante nella sua opera è “Diario di ordinaria tristezza” (1973) che ripercorre il tempo che precede la scelta dell’esilio, gli arresti domiciliari, gli interrogatori degli ufficiali israeliani, il carcere, e chiude la fase più drasticamente militante del poeta. “Memoria per l’oblio” (1987) invece evoca l’invasione israeliana di Beirut nell’agosto del 1982.
Mentre “In presenza d’assenza” (2006) è una riflessione sull’esperienza poetica e sulla lingua. Una sorta di testamento, che coincide con l’addio dello struggente poema “Il giocatore d’azzardo” (2009) scritto due anni prima della sua morte ,edito in Italia da Mesogea, con testo arabo a fronte. Un libro bellissimo, per estetica ma soprattutto per le parole del poeta. All’interno vi è il lungo poema, costruito in 6 sezioni, “Il giocatore d’azzardo”, poema scritto due anni prima del 2008, anno della morte del poeta. Un lungo poema autobiografico cucito e intessuto di splendide immagini poetiche, di pezzi di vetro e osso, di vita, di casa, di esilio, di cecchini che ti mirano alla fronte, di alberi di limone e di ulivi.

Anche se Darwish in diverse interviste ha sempre detto di non poter scrivere una autobiografia perché già contenuta nei suoi scritti , Il giocatore d’azzardo è un poema dove risuona il martellante gioco del passato e del presente, della dimenticanza e del ricordare.
“Non dimentico né ricordo il passato,
perché nasco ora, così, da ogni cosa.
Fabbrico il passato quando l’aria ha bisogno di eredi
che la polvere consuma. Sono nato senza intoppi,
come gli sciacalli, le salamandre, i corvi”

Così inizia la prima sezione Qui, ora, qui e ora de Il giocatore d’azzardo. Dirompente come un sogno che emerge dalla cenere, come “colombaie lunari” costruire dalle macerie.

“Qui, tra schegge di cose
e di nulla, viviamo
ai margini dell’eternità.
Giochiamo a scacchi, a volte,
incuranti dei destini dietro la porta.
Siamo ancora qua
a costruire da macerie
colombaie lunari”

Luigi Toni su OrientXXI scrive: “Dimenticata dalla Storia e oscurata ancora oggi dai media, la catastrofe dei palestinesi diventa memoria e poetica nell’opera del poeta. Spesso evocata attraverso il ricorso al sogno, per Darwish la catastrofe dei palestinesi può diventare ricordo e parola solo attraverso i segni che la Storia (“un diario d’armi”) scrive sui corpi e sul corpo del poeta esule/esiliato. Il corpo come identità negata, luogo della nuda verità, privato di ogni diritto e ridotto – per usare la terminologia di Agamben – a homo sacer condannato alla vita nuda, dove “l’iscrizione corporea assurge a luogo di memoria traumatica”, che rimanda sempre al trauma della perdita della terra amata.

La saggezza del condannato a morte e altre poesie è l’ultima raccolta poetica del grande scrittore palestinese Mahmud Darwish pubblicata in lingua italiana, che include una selezione di testi di ogni fase del suo vissuto, tenendo insieme le lettere sulla libertà e l’amore per la Palestina (“la terra più amata”) fino alle domande esistenziali e alla riflessione sulla condizione dell’esilio. Il volume, curato e tradotto dal poeta italo-siriano Tareq Aljabr, in collaborazione con Sana Darghmouni, docente di arabo all’Università di Bologna, e riadattato dal poeta Emiliano Cribari, è composto da ventotto poesie, nove per ciascuno dei tre nuclei tematici: l’amore, l’io e la patria.

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