Le nuove stanze della poesia

Le nuove stanze della poesia, “Felicità raggiunta si cammina” di Eugenio Montale

Il tema della felicità umana nella poetica di Eugenio Montale: ne parliamo nell'appuntamento con la rubrica a cura di Valter Marcone.

Scriveva Vitaliano Bianciardi nella sua “Vita agra” un romanzo che racconta il boom economico di un paese uscito da poco da una guerra distruttiva e divisiva, una divisione che resterà a lungo arrivando in qualche modo anche ai nostri giorni: “Avevo scritto un libro incazzato e speravo che si incazzassero anche gli altri”. 

E invece è stato un corteo di consensi, pubblici e privati, specialmente a Milano. Un libro contro il benessere che derivava da quel boom, un benessere che stigmatizzava così: “Chi non ha l’automobile l’avrà, e poi ne daremo due per famiglia, e poi una a testa, daremo anche un televisore a ciascuno, due televisori, due frigoriferi, due lavatrici automatiche, tre apparecchi radio, il rasoio elettrico, la bilancina da bagno, l’asciugacapelli, il bidet e l’acqua calda. A tutti. Purché tutti lavorino, purché siano pronti a scarpinare, a fare polvere, a pestarsi i piedi, a tafanarsi l’un con l’altro dalla mattina alla sera. Io mi oppongo”.  La letteratura, il cinema, il teatro rappresentarono i grandi mutamenti innescati nella società da quell’Età del benessere, e la rielaborano attraverso il filtro di uno sguardo critico. Quella di Bianciardi fu una profezia nel vero senso della parola che si ritrova in opere come Scritti corsari (1975) di Pasolini, Tempi stretti (1957), Donnarumma all’assalto (1959) e Linea gotica (1963) di Ottiero Ottieri, Memoriale (1962) di Paolo Volponi L’età del malessere (1963) di Dacia Maraini, al glaciale romanzo L’adultera (1964) di Laudomia Bonann, la commedia Ti ho sposato per allegria (1964), scritta per Adriana Asti da Natalia Ginzburg, Apocalittici e integrati del 1964 di Umberto Eco, Il contesto (1971) di Sciascia per non parlare del grande cinema o l’Arte povera, ma anche il successo del teatro underground e di strada di Luca Ronconi, Carmelo Bene, Dario Fo e Giuliano Scabia, oltre al ruolo di primo piano che negli anni Ottanta l’Italia giocherà nel dibattito internazionale sul postmoderno, grazie a Eco, Vattimo, Portoghesi e Bonito Oliva.

Leggendo il saggio di Gabriele Pedullà pubblicato nel capitolo L’Età del benessere nell’Atlante della Letteratura Italiana ,Einaudi, Torino 2012, vol. III, pp. 718-723 dove si sofferma su questo periodo storico del nostro paese mi sono domandato, come fanno alcuni degli autori che lui cita se quel benessere fu vera felicità soprattutto in riferimento alle trasformazioni velocissime che ci hanno portato ai giorni nostri. Giorni difficili in cui fenomeni come la disoccupazione giovanile e delle donne, l’aumento della povertà non solo economica ma anche educativa per i minori, la questione morale nella politica, il rifiuto dell’accoglienza degli stranieri, la velocità del cambiamento climatico e la necessità di sostituire le fonti fossili di energia e altri fenomeni come la nuova guerra fredda, i conflitti armati in molti paesi del pianeta Terra, determinano condizioni di vita in cui alto si leva il pianto che da nulla può essere appagato come quello di “un bambino a cui fugge il pallone tra le case.” E allora non ci resta che ricorrere come sempre ai versi dell’amato Montale “Felicità raggiunta, si cammina / per te su filo di lama”, un componimento che fa parte della raccolta “Ossi di seppia” prima raccolta pubblicata nel 1925 dall’amico editore Gobetti, e successivamente nel 1928 con l’aggiunta di alcune poesie, che confermano il tono esistenzialista e negativo a partire dallo stesso titolo che evoca sentimenti di emarginazione nel rapporto con la realtà che caratterizza la prima parte della sua opera poetica.

FELICITÀ RAGGIUNTA, SI CAMMINA

Felicità raggiunta, si cammina
per te sul fil di lama.
Agli occhi sei barlume che vacilla,
al piede, teso ghiaccio che s’incrina;
e dunque non ti tocchi chi più t’ama.

Se giungi sulle anime invase
di tristezza e le schiari, il tuo mattino
e’ dolce e turbatore come i nidi delle cimase.
Ma nulla paga il pianto del bambino
a cui fugge il pallone tra le case.

Felicità raggiunta è dunque una poesia che induce ad una presa di coscienza sul negativo che Montale trasferirà anche in molte sue composizioni in altre raccolte. Un tema questo che sta tutto in due strofe pentastiche di versi endecasillabi eccetto il 2°, il 6°, l’8° secondo lo schema di rime ABCAB DEDED. “Felicità raggiunta” è il 13esimo dei 23 testi contenuti nell’omonima sezione della raccolta, la seconda. La raccolta è composta da quattro parti articolate tra una premessa (In limine) e un testo giovanile (Riviere). E di questa “Felicità raggiunta” ci sarebbe molto da soffermarsi su quel punto interrogativo che è come un marchio, un sigillo che ci dice che allora è meglio non avere desideri e piombare in una totale apatia. Romano Luperini su questa poesia scrive un commento interessante in un breve saggio dal titolo: “Il desiderio e la sua negazione su Felicità raggiunta si cammina”, che si può leggere a questo link.

E purtroppo questo il senso di una modernità che ai nostri giorni tesse i rapporti e influisce sui comportamenti perchè dà vita a fenomeni come per esempio l’astensione dalle urne in un sistema di democrazia in cui il voto non è solo un diritto ma anche un dovere; rallenta o elimina la ricerca di un lavoro da parte di alcune classi di giovani; approfondisce alcune diseguaglianze . Una condizione difficile da vivere a cui nemmeno la poesia può metterci rimedio. A questo proposito lo stesso Montale è molto esplicito in questa sua composizione sempre da “Ossi di seppia”:

Non chiederci la parola che squadri da ogni lato
l’animo nostro informe, e a lettere di fuoco
lo dichiari e risplenda come un croco
Perduto in mezzo a un polveroso prato.
Ah l’uomo che se ne va sicuro,
agli altri ed a se stesso amico,
e l’ombra sua non cura che la canicola
stampa sopra uno scalcinato muro!
Non domandarci la formula che mondi possa aprirti
sì qualche storta sillaba e secca come un ramo.
Codesto solo oggi possiamo dirti,
ciò che non siamo, ciò che non vogliamo

Eugenio Montale nasce a Genova il 12 ottobre 1896. Dopo la Prima guerra mondiale frequenta l’ambiente letterario ligure , conosce Camillo Sbarbaro e pubblica la sua prima raccolta poetica Ossi di Seppia (1925), opera che avrà un grande successo, e firma poi il Manifesto degli intellettuali antifascisti .Dal 1927 Montale si trasferisce a Firenze e collabora con importanti riviste del tempo e soprattutto dirige il Gabinetto Vieusseux, un’istituzione culturale fiorentina nata nel 1819, nel 1938 viene allontanato dall’incarico: nel 1939 pubblica una nuova raccolta, Le Occasioni, e conosce Drusilla Tanzi che sarà sua moglie e il grande amore di tutta la sua vita. Dal 1948 quando, trasferitosi a Milano inizia a collaborare con il Corriere della Sera. Per questo giornale scrive reportage di viaggio, critiche letterarie e ovviamente vati tipi di articoli molto importanti. Nel 1975 gli viene assegnato il Premio Nobel per la Letteratura. Muore il 12 settembre 1981 a Milano.

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